Sono arrivate dal Louvre, dal British Museum e da altri prestigiosi musei prestatori, reperti, scritti e disegni che scandiscono tutto il percorso espositivo della mostra “L’Egitto di Belzoni”: un viaggio lungo le tappe biografiche più importanti del grande esploratore a Padova nella sede Centro Culturale Altinate San Gaetano, fino al 28 giugno, a cura di Francesca Veronese.
C’è una scena del film Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta nella quale Harrison Ford cade all’interno di una tomba egizia e si ritrova immerso fra polvere, mummie e ossa: una sequenza cult che descrive lo spirito avventuroso dell’esploratore e archeologo immaginato da George Lucas. Quella stessa scena ha però uno sceneggiatore ante litteram: si tratta del padovano Giovanni Battista Belzoni, che nel suo diario di viaggio Il Narrative, descrive una scena identica. Non è un segreto, infatti, che il grande cineasta si sia ispirato alla figura poliedrica di Belzoni per costruire il personaggio di Indiana Jones. A duecento anni dal suo ritorno in Italia, la mostra “L’Egitto di Belzoni. Un gigante nella terra delle piramidi” celebra l’epopea di un grande esploratore, conosciuto in tutta Europa ma spesso poco celebrato in patria.
La mostra vuole far luce su una storia dimenticata, seguendo le tappe biografiche di Belzoni e far immergere i visitatori nel contesto geografico e culturale della sua epoca: la Padova e il Portello di fine Settecento, l’Inghilterra dei primi dell’800, dove visse per dieci anni in qualità di attore, ma soprattutto l’Egitto e la scoperta di questo straordinario scrigno di tesori. Belzoni fu un apripista nelle esplorazioni in Egitto e la sua avventura si inserisce in un periodo storico di grande fascinazione verso la cultura faraonica: lungo il Nilo si intrecciano le storie di studiosi, archeologi, diplomatici e avventurieri che contribuiranno a far conoscere in tutto il mondo la cultura, l’arte e la storia dell’Egitto.
La storia e le scoperte de Belzoni hanno avuto una grande eco in Europa. Prova ne è il fatto che sono esposte in preziosi musei a Londra e a Parigi. Dal British Museum, infatti sono arrivate a Padova una sfinge a testa di falco rinvenuta da Belzoni ad Abu Simbel: i mostra si possono vedere, accoppiati, sia il disegno che l’esploratore fece della sfinge sia il reperto vero e proprio. Dal Louvre, invece, è giunta una coppa in oro, decorata a sbalzo, che faceva parte in un corredo funerario, e oggi parte della collezione Drovetti, il grande amico e nemico di Belzoni. Da Bristol sono arrivati invece alcuni disegni, realizzati da Belzoni e da Alessandro Ricci, altro collega esploratore del padovano, che rappresentano le decorazioni della tomba di Sethi I. Sempre appartenenti alla tomba di Sethi I sono le statuette in legno in arrivo da Bruxelles, mentre dalla Cambridge University Library sono in mostra alcuni disegni di Johann Ludwig, grande studioso e amico di Belzoni. Di Burckhardt è presente un interessante quaderno di grammatica araba, utilizzato all’epoca per comunicare con gli egiziani.
Grande esploratore e mai mosso da interessi economici verso i reperti scovati in Egitto, Giovanni Battista Belzoni, nel 1819, donò alla sua città natale due statue della dea Sekhmet, rinvenute a Tebe: un omaggio e un regalo alla città del Santo da cui era partito, lasciando la casa dei genitori al Portello. Le due statue furono esposte a lungo alla porta Orientale del Palazzo della Ragione e ora sono conservate al Museo Archeologico di Padova, ma riprodotte anche all’interno della Sala Egizia del Caffè Pedrocchi.
Le 150 opere esposte – fra scritti, disegni, tavole e reperti – ricostruiscono un panorama suggestivo e inedito dell’Egitto: è, appunto, l’Egitto di Belzoni, quindi quello di inizio 800, territorio ancora tutto da esplorare e da conoscere che è stato luogo di amicizie e collaborazioni, ma anche di dispute tra i vari archeologi e personaggi che gravitavano nell’area del Nilo. In mostra, infatti, sono presenti sia reperti che raffigurano il grande culto delle divinità in Egitto, come la statuetta di Thot in forma di ibis o il rilievo della dea Maat, ma anche alcuni frammenti che raccontano, per esempio, la centralità della musica nella cultura egizia. Infine, le tavole e i disegni che arricchivano il Narrative scritto da Belzoni con le raffigurazioni delle sue “imprese impossibili”: una graphic novel ante litteram, che ha di fatto reso famoso nel mondo, più che in Italia, la figura di Giovanni Battista Belzoni.
La sorpresa finale di tutto il percorso espositivo: nel grande atrio del San Gaetano è riprodotto in scala 1 a 15 la grande piramide di Chefren, alta circa 10 metri e con base di 15 metri. Fra le principali piramidi dell’area di Giza e all’epoca di Belzoni ritenuta ancora impenetrabile, l’esploratore riuscì, dopo lunghi giorni e tentativi, a scoprire un varco di accesso. Una volta entrato, scavando e strisciando lungo i cunicoli e i corridoi arrivò alla camera sepolcrale dove pose la firma: “Scoperta da G. Belzoni. 2 mar. 1818”.
Il fascino di Giovanni Belzoni ha oltrepassato l’oceano, grazie a un pioniere, Alvarez Fisk, che dal 1830 era andato alla ricerca di fortuna lungo il fiume Mississippi. Dopo aver dato vita a un impero di piantagioni, denominato Belzoni Landing proprio in onore dello scopritore dell’Egitto che, ai suoi occhi, era divenuto un mito, fondò poco più a nord la cittadina a cui diede il nome di Belzoni City.
M.P.F.