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Maria Paola Forlani. De Pisis a Milano
24 Ottobre 2019
 

Dopo quasi trent’anni dall’ultima esposizione milanese, l’artista ferrarese Filippo de Pisis (1896-1956) torna a Milano fino al 1° marzo 2020, nella sede del Museo del Novecento che ospita infatti un’ampia retrospettiva che vuole restituire la sensibilità artistica di de Pisis e dare luce al suo ruolo nella pittura italiana tra le due guerre.

L’esposizione è promossa e prodotta da Comune di Milano/cultura – Museo del Novecento e casa editrice Electa, con sostegno della Associazione Filippo de Pisis. Curatori sono Pier Giovanni Castagnoli e Danka Giacon, conservatrice del Museo del Novecento.

Il percorso si snoda lungo dieci sale e presenta al pubblico più di 90 dipinti, tra i più “lirici” della sua produzione, provenienti dalle principali collezioni museali italiane: Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, Museo delle Regole Mario Rimoldi di Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Moderna di Torino, Mart di Rovereto, Ca’ Pesaro di Venezia e la Galleria Nazionale di Roma.

Le opere sono esposte in senso cronologico, a partire degli esordi del 1919 fino al periodo drammatico dei lunghi ricoveri nella clinica psichiatrica di Villa Fiorita all’inizio degli anni Cinquanta. Grande attenzione è dato ai luoghi che hanno ispirato la sua ricerca espressiva, come Milano, Roma, Venezia, il Cadore, Parigi e Londra. In un continuo gioco di rimandi tra parola e colore, poesia e pittura, la rassegna ripercorre anche i temi cruciali della poetica di de Pisis attraverso l’accostamento di vedute urbane, nature morte e seducenti fantasie marine.

Dalla primavera del 2020, la mostra verrà ospitata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, nell’ambito del programma dedicato all’arte del Novecento italiano.

La poetica di Filippo de Pisis (Ferrara 1896 – Brugherio, Milano, 1956) è costituita principalmente da vedute cittadine, nature morte, fiori e, più raramente ritratti o interni.

Anch’egli, come molti artisti dipinge «dal vero». Ma più che ricostruire la natura secondo un ordine mentale, come la grande maggioranza dei suoi contemporanei, de Pisis preferisce cogliere le impressioni fugaci. Se quasi tutti gli artisti europei si riallacciano a Cézzanne, de Pisis si ispira piuttosto a Monet e all’impressionismo più autentico. La sua posizione è dunque molto diversa da quella del «Novecento Italiano».

L’impressionismo di de Pisis non è tuttavia una meccanica ripresa di una concezione ormai lontana negli anni; è piuttosto un modo di vedere la realtà contemporanea secondo il principio impressionista che è valido in ogni epoca.

De Pisis (il cui vero nome era Luigi Tibertelli; lo pseudonimo vuole forse indicare una lontana origine familiare o riallacciarsi eruditamente a Nicola Pisano), prima di giungere alla pittura, è scrittore e poeta: anzi nel 1947, a meno di dieci anni della morte, diceva a un visitatore: «si ostinano a considerarmi un pittore, ma in realtà sono meglio come poeta». E certo, indipendentemente dalla sua opinione, c’è sempre in lui uno scambio continuo fra pittura e poesia.

Uomo colto, raffinato, curioso di sapere e di conoscere, de Pisis vive, nella sua città Ferrara, la breve intensa stagione metafisica fra il 1916 e il 1917. Poi si reca a Roma, entrando in contatto con poeti e intellettuali e studiando nei musei. Nel 1925 è a Parigi dove resterà per quindici anni, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. È Parigi, con la sua tradizione, con la presenza viva dei quadri impressionisti, con la possibilità di verificarne direttamente sul vero la validità, con la mobilità delle sue atmosfere, che suscita in lui l’estro pittorico. E, dopo Parigi e un breve soggiorno a Milano, Venezia a partire dal 1943; perché Venezia, è a suo modo, città impressionista. Qui, riscoprendo il valore degli accostamenti cromatici di un Tiepolo, nascono alcuni fra i più alti panorami di de Pisis, quasi in una rinascita moderna del vedutismo di un Canaletto o di Guardi.

A Parigi, come a Milano o a Venezia, la pennellata di de Pisis è veloce, a tocchi cromatici, lasciando spesso scoperta la tela, nell’ansia di rendere con immediatezza la sensazione provata di fronte a un angolo nascosto e segreto o a un panorama celebre, sempre con la stessa freschezza e con lo stesso entusiasmo come se tutto fosse visto per la prima volta, sempre con la stessa foga creativa che lo conduce a dipingere continuamente quadri innumerevoli (si parla di sei o settemila), come innumerevoli sono i nostri momenti spirituali. Solo negli ultimi anni la sua pittura si drammatizza, forse in seguito alla grave malattia che lo accompagnerà alla morte.

 

M.P.F.


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