Si sa che uno dei momenti più emozionanti, da un punto di vista artistico più alti, del racconto della Passione di Cristo, è quell'urlo di Cristo sulla croce in cui chiede, si chiede: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Al culmine del proprio dolore, sembra sentirsi solo, la sua fede sembra vacillare, forse non crede più in quel Dio che dovrebbe assisterlo e proteggerlo; ma allo stesso tempo, con quel grido, invoca la sua presenza.
Rievoco questo episodio del Vangelo, perché un sentimento duplice, di crisi o di perdita della fede, ma allo stesso tempo dell'esigenza, della necessità di quella fede, è, a mio parere, alla base del film che il regista François Ozon ha dedicato al tema della pedofilia nella Chiesa cattolica, e che si intitola Grazie a Dio (è il film che ha vinto il Gran Premio della Giuria al festival di Berlino).
È in effetti una via crucis quella che hanno percorso i bambini, decine di bambini, che appartenevano a un gruppo di boyscout gestito da un prete, certo Padre Preynat; che uno ad uno, nel corso degli anni, sono stati presi in disparte dall'uomo e costretti a subire abusi sessuali che li hanno segnati nello spirito, ma anche, almeno in un caso, nella carne, perché si racconta che in seguito a tali incontri in uno di loro potrebbe essersi prodotta una deformazione fisica permanente.
E il ricordo di quegli abusi, a volte seppellito dentro di loro nel dolore e nella vergogna, a volte addirittura rimosso, li ha accompagnati fino all'età adulta, e quando è riemerso ed è affluito in parole pronunciate ad alta voce, è stato quasi immancabilmente accompagnato da uno scoppio di pianto.
Ma ecco: nel primo dei casi che ci racconta Ozon, la denuncia dei fatti accaduti, soltanto come ripiego, in secondo grado, è indirizzata alle autorità civili; perché prima di tutto l'uomo si rivolge alla stessa Chiesa cattolica, sperando che il sacerdote che aveva abusato di lui, sia punito, sia almeno ridotto allo stato laicale: per un'elementare esigenza di giustizia, perché non possa più ferire altri bambini; ma anche, per ammissione dell'uomo, perché lui possa continuare ad avere fede in quella Chiesa, che ora gli appare omertosa e corrotta, disposta anche a coprire i colpevoli di crimini così gravi; perché a quella Chiesa possa ancora affidare con tranquillità d'animo i propri figli.
Non tutti i personaggi del film di Ozon sono allo stesso modo convinti cattolici. Un altro anzi, quello che diventerà il leader dell'associazione delle vittime di padre Preynat, è un ateo che ha il gusto della provocazione blasfema: vorrebbe che un aereo sorvolasse San Pietro recando su una bandiera l'immagine di un sesso maschile. Ma si sa che a volte la blasfemia è una conseguenza delle fede, come l'odio può esserlo dell'amore.
E quanto al terzo personaggio principale del film, un giovane uomo, di grande intelligenza ma che conduce una vita da fallito, senza un lavoro stabile, coinvolto in relazioni sentimentali conflittuali e precarie, preda di ricorrenti crisi epilettiche, sembra invocare con lo spettacolo della propria marginalità, delle proprie sofferenze, l'aiuto di un Padre che lo sostenga e lo protegga (mentre il suo padre anagrafico lo ha abbandonato quando era ancora un bambino).
Insomma: anche se il film di Ozon è una denuncia molto dura contro la Chiesa cattolica (si riferisce a fatti realmente accaduti e denunciati dall'associazione francese: La parola liberata), la sua originalità è di essere comunque un film intimamente, forse inconsapevolmente, cattolico.
Tutta la storia è immersa nel clima di un mistero spirituale, che allude anche ai grandi temi religiosi della Caduta e del Peccato, e poi dell'attesa, almeno l'attesa, del Pentimento e della Salvezza.
Da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 19 ottobre 2019
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