Questo accade nel Palazzo del Podestà di Caspano in stagione di potatura e degustazione del vino. Arrivo a Caspano il 3 ottobre 2019 per la potatura delle piante. Mi organizzo e sono presto sul posto in modo da provvedere a far sistemare i grandi alberi che hanno bisogno di crescere meglio. La mia proprietà è nel Palazzo del Podestà, in vincolo architettonico dal 2000. Scendo dalla corriera e salgo al Palazzo che trovo stranamente chiuso. In genere, è lasciato aperto perché entrano ed escono i proprietari che lo usano, chi per viverci, chi per lasciarvi i propri attrezzi. Abito nel Palazzo tra Caspano e Roma e ci investo economicamente da anni, per lo meno per salvaguardare la parte ristrutturata.
Faccio scorrere il pesante catenaccio del Cinquecento e mi trovo davanti uno spettacolo sorprendente. Il Palazzo è diventato un ristorante con cavalletti per tavoli disposti in fila all’interno dell’area verde, centrale al colonnato che scorre tutto intorno, tavoli di degustazione lungo il portico ed un gigantesco faro posizionato davanti alla mia abitazione al secondo piano, affacciata sul cortile interno. La scena è evidente: qualcuno è entrato in casa ed ha disposto arredi per fare del Palazzo del Podestà un luogo di ritrovo paesano, a mia insaputa, senza alcuna considerazione degli atti dovuti di informazione a tutti i proprietari.
Esco di casa e alle tre persone che incontro chiedo che cosa succede dentro il Palazzo del Podestà. Mi rispondono che non sanno di preciso e che forse si tratta della “festa del vino”. Ad ognuno verrebbe in mente quello che ho pensato io e detto a voce alta. Perché la festa in casa mia e senza che io sia informata? Chi è il referente se crolla un muro o un cornicione, se qualcuno danneggia le colonne e se qualcuno rompe un parapetto? Nessun indizio. Scrivo messaggi cartacei dentro il Palazzo del Podestà e in essi chiedo chi si nasconda dietro i tavoli disposti a festa.
La sera del 4 ottobre, all’improvviso, il Palazzo è illuminato a giorno. Sento rumori vari. Tre persone, una donna e due uomini, scelti non si sa da chi, suonano alla mia porta e dicono di aver letto i miei messaggi e di essere i volontari che stanno preparando la festa per conto del Comune e della Parrocchia. Dei tre ne conosco uno di vista. Nessuno dei tre ha proprietà nel Palazzo e mi viene spontaneo chiedere che cosa avrebbero fatto al mio posto se entrando in casa loro avessero trovato lo spettacolo che ho avuto modo di vedere io, senza alcun avviso né prima, né durante, né dopo. Le risposte le risparmio al lettore perché sono da manuale del “già visto”. Non perché i tre non fossero in grado di rispondere, ma semplicemente perché si vedeva la loro strumentalizzazione in una situazione che non padroneggiavano e che di fatto non capivano. Ho tentato di spiegare che in ogni Palazzo esistono superfici comuni di cui tutti i proprietari hanno proprietà e responsabilità, quindi tutti i proprietari vanno informati preventivamente circa l’uso inconsueto del bene e tutti devono esprimersi. Questi sono atti dovuti dalla convivenza civile e dalla legge. Per quanto mi riguarda non posso dare un consenso a persone ignote, ad Associazioni indefinite, a volontari senza responsabilità civile e penale. Non posso perché ogni estate, quando “torno a casa”, proprio come un emigrante torna in suol nazionale, il Palazzo del Podestà ha un danno in più e quando chiedo chi lo ha procurato, c’è silenzio e corre il solito “non lo so”. Non ci sono responsabili, nessuno paga.
Il 3 ottobre l’area scoperta al piano terra del Palazzo del Podestà, superficie verde interna e colonnato, è occupata per ospitare, ad occhio, oltre 100 persone, forse sedute, e tante altre in piedi. Una quantità insopportabile per il povero monumento! Credo che si possa ben capire la mia profonda indignazione esprimibile a più livelli: indifferenza, incuria, negligenza. Possibile che a scuola nessuno abbia fatto qualche lezione di convivenza civile e di rispetto della proprietà altrui? Non credo. Il rebus è chiarito nel colloquio con i volontari che mi propongono contenuti inverosimili, inattendibili, probabilmente detti da altri per convincerli all’impresa. Non scomodo le discipline che studiano scientificamente questi fenomeni umani, dico solo che il cliché si ripete e mi vengono in mente Victor Hugo, Voltaire, Pirandello, Pestalozzi solo per fare qualche esempio letterario sulla sinfonia degli equivoci nella piccola comunità contadina e montana. Mentre parlano apprendo che il Palazzo del Podestà è la tappa 7 della festa del vino. Di notte, i cavalletti vengono chiusi ed appoggiati al colonnato. Così li trovo al mattino del 5 ottobre quando mi reco a Morbegno. Presso l’ufficio turistico chiedo informazioni sulla festa del vino a Caspano, mi offrono l’opuscolo dal titolo “Gustosando in Valtellina”. Nell’opuscolo, con riferimento al 5/6 ottobre 2019 leggo a pagina 8 che a Caspano “campeggia il Palazzo del Podestá”, come fosse un masso sperduto sulla montagna, e leggo, a pagina 9, l’indicazione delle stazioni del cammino, con la tappa 6 segnata sulla planimetria del Palazzo del Podestá, non citato, anzi confuso da informazioni fuorvianti. Il Palazzo del Podestá meriterebbe un termine più consono, rispetto al “campeggia”. Purtroppo, è ricordato solo per sfruttarne lo spazio. Si ignorano fatti rilevanti. Basta vedere gli scempi che crescono di anno in anno come i graffiti sulle colonne del Cinquecento che i proprietari dovrebbero far ripulire. Tornando alla pagina 9 dell’opuscolo, la tappa 6 è G. S. San Bartolomeo Gruppo sportivo, comprensibile nello scritto ma non nella piantina a pagina 8 perché il numero è sul Palazzo del Podestà, quindi si confondono erroneamente le due entità. La tappa 7 è segnata come Parrocchia S. Bartolomeo a pagina 9. Se la cantina 7 corrisponde alla tappa 7 si stanno identificando Parrocchia e Palazzo. Passaggio improprio. Il nome di “latteria sociale”, scritto su un locale del Palazzo, è spesso citato in relazione alla Parrocchia, di fatto è dicitura che non corrisponde a nulla, è inesistente, come è inesistente la categoria “abitanti di Caspano”, richiamata in modo da non permettere il riconoscimento di proprietà e responsabilità. Queste due diciture sono evidentemente usate per confondere lo stato dei luoghi, lo dico per ricerche fatte e perché le fantomatiche definizioni “non pagano” tasse, lavori, danni, risarcimenti ed altro, nascondono e vivono di equivoci, alimentano stereotipi e falsità. Nell’opuscolo la tappa 8 a pagina 9 reca il cognome “Chistolini” con la specifica Parrocchia S. Bartolomeo, altra formulazione equivoca. Ne segue, che leggendo l’opuscolo, da persona interessata, trovo diversi mescolamenti di fonti fino a confondere luoghi, proprietà, persone. Il costume dell’equivoco sembra tramandarsi all’infinito, nonostante i reclami. Il Comune di Civo non è proprietario del Palazzo del Podestà e deve conformarsi al vincolo che definisce l’edificio un luogo di contemplazione. Niente banchetti nel Palazzo del Podestà e adunanze di centinaia di persone che pagano per gustare prodotti gastronomici. Alcuni dei visitatori sono ignari della confusione e questo genera cattiva conoscenza. Parafrasando quanto scriveva Pestalozzi nel romanzo Leonardo e Geltrude, con la penna possiamo raccontare quello che vediamo ed evidenziare il mal costume, confidando che la verità venga resa palese e che si superino le convinzioni distorte. Forse ad un opuscolo non si può chiedere precisione, ma certamente ignorare di informarmi come proprietaria lascia supporre molte cose. Resta il messaggio che mi arriva di persone ed istituzioni che entrano in casa senza neanche chiedere il permesso e trasformano la casa in qualcosa d’altro, ben sapendo quanto io tenga al rispetto del luogo. Sorridere e parlare di dispetti fa dell’incomprensione la voragine dell’omertà.
Sandra Chistolini