Per la prima volta in Italia la danzatrice americana Isadora Duncan è protagonista in una mostra dedicata a lei e agli artisti italiani che ne hanno subito il fascino e la suggestione. Fino al 22 settembre a Firenze nelle sedi di Villa Bardini e al Museo Stefano Bardini è allestita l’esposizione “A passi di danza, Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e avanguardia”, a cura di Maria Flora Giubilei e Carlo Sisi. Su questa figura di donna dalla esuberante personalità si sono concentrati i riflettori di questo evento espositivo che intende rispecchiare la profonda impronta da lei impressa sulle arti figurative e decorative del XX secolo, tra simbolismo e Liberty.
Il ritorno alla natura, la riscoperta del mondo vegetale, la nostalgia dell’antico, di una nuova Età dell’oro all’insegna del dionisiaco sono lo sfondo in cui si muove la ricerca di Isidora che sente l’urgenza di una nuova espressione d’arte, la danza libera, liberata dagli orpelli dell’accademia, capace di far rivivere la sacralità che un tempo rivestiva nella Grecia antica.
Per Isidora la danza è una religione ed è con la passione della neofita che, lascia San Francisco (dove era nata nel 1875), approda al British Museum di Londra nel 1900 per studiare attraverso la pittura vascolare e la statuaria greca quei movimenti che rendono la danza un rito sacrale. Per lei le figure greche sono “formule di pathos” cariche di suggestione per i tempi moderni: la visione della Duse in un tetro londinese le suggerisce l’importanza dell’energia vitale che deve emanare dalla scena e trasmettersi allo spettatore. L’incontro con Rodin, incantato dai profili delle sue pose statuarie che lo scultore immortalò in una cartella di disegni e la sua ammirazione per la vitalità della statuaria rodiniana confermano la visione della danza come «unità della forma e del movimento, unità ritmica che si ritrova in tutte le manifestazioni della natura di cui la linea caratteristica è l’ondulazione».
Il fascino di Isadora è come un’onda lunga che investe anche lo scultore Antoine Baurdelle, ispiratosi a lei per la Nike del monumento a Falcon del 1911 e per il simbolo della danza nel fregio di facciata del parigino Théâtre des Champs-Elysées. A Berlino, dove debutta nel 1903, Isadora pubblica la sua Danza del futuro in cui scrive: «Se potessi trovare nella mia danza anche una sola posizione che lo scultore potesse trasferire nel suo marmo così da essere preservata, il mio lavoro non sarebbe stato invano». La Pleureuse o la Maddalena di Libero Andreotti del 1911 sembra la realizzazione del suo sogno.
Ispirato alle pose della Duncan è il gruppo in stucco dipinto di Domenico Baccarini, Sensazioni dell’anima del 1903, nonché la Fioriera Liberty della Manifattura di Doccia (Sesto Fiorentino, Firenze) del 1902, e a un passo di danza si rifà la figura che allude al Risveglio d’Italia Leonardo Bistolfi del 1911. L’influenza da lei esercitata sugli artisti risalta anche in un acquarello di Umberto Boccioni che data 1908 presenta una figura danzante, preludio alle sue sculture futuriste.
Ma è soprattutto a due artisti già affermati nell’area toscana che spetta il merito di aver colto lo spirito, l’anima della danzatrice americana la quale era già apparsa nel 1902 a Firenze con le sue danze ispirate alla Primavera del Botticelli accompagnati dalla musica dell’Orfeo di Gluck: un vento nuovo nel panorama del teatro del tempo che seppe immortalare Plinio Nomellini quando incontrò nel 1913 Isadora Duncan sulla spiaggia di Fossa dell’Abate (Lido di Camaiore, Lucca). Frutto di numerosi schizzi presi dal vero è il dipinto Gioia, un inno alla fusione di anima e corpo, un omaggio alla forza della natura e all’energia vitale che si sprigiona dalla danza intesa come espressione dell’anima.
Molti anni dopo la sua realizzazione, il dipinto fu diviso dallo stesso artista in due parti (l’una raffigurante il mare, l’altra Isadora Duncan), sembra in ricordo della danzatrice che considerò la parte riguardante il mare come secondo ritratto, immedesimandosi in quelle onde della sua vita, fatta di alti e di bassi, di successi e disgrazie come la morte per annegamento dei due suoi figli nelle acque della Senna; per un’ironia nel dipinto Gioia, l’avrebbe strangolata in una folle corsa in automobile a Nizza nel 1927. Il volto di Isadora, riverso alla luce del sole, come apparve sulla spiaggia al giovane scultore Romano Romanelli che ne rimase ammaliato, è uno dei suoi bronzi più avvincenti e ci parla della passione che lo unì a Isadora in un breve tempo, infelice per la perdita del figlioletto appena nato, Arte e vita scosse dal vento della danza che per Isadora significava l’espressione divina dello spirito umano, una religione, e in questo senso, la sua è una lezione incancellabile di etica dell’arte che ancora oggi colpisce e fa riflettere.
Maria Paola Forlani