Ad alcune delle domande che pone l’articolista de Il Grigione italiano sul Giornale di Tirano & dintorni potrebbe forse contribuire a rispondere anche questo Oblò svizzero su un giornale web italiano… È per questa ragione che siamo particolarmente lieti di ospitare qui il contributo di J. Battaglia, ottima occasione per esplicitare che questo spazio è a completa disposizione per una corale espressione e per quel confronto che viene auspicato. (Es)
Chi scrive è un ventiseienne di Poschiavo, frazione Borgo, svizzero da parte di padre e italiano da parte di madre, orgogliosamente, mi verrebbe da aggiungere. Tirano e la via Rasica, per essere più precisi, stanno dentro di me, quanto Poschiavo e la via Spoltrio. Da Poschiavo mia madre, sin dai miei primi anni di vita, si spingeva, attraverso Brusio, Campocologno e Piattamala, fino a Tirano. Una volta a settimana, d’obbligo, a trovare nonna, zii, cugini e parentela varia. Non so perché, ma ci riusciva evidentemente più semplice oltrepassare i confini della patria Helvezia, che valicare il passo del Bernina per andare a trovare gli zii in Engadina. Tant’è vero che andarmene “all’estero”, a quei tempi, significava andarmene proprio in Engadina, dove le scritte sui cartelli stradali erano riportate in una lingua che per me effettivamente era straniera: il tedesco. Quando ci si recava a Tirano invece no, quella era un po’ anche casa mia, simbolicamente non molto distante dal concetto di casa ideale che mi veniva mostrato nelle pubblicità alla TV italiana, che si guardava a Poschiavo. “Dove c’è Barilla, c’è casa”, così dicevano dentro il teleschermo, e noi la pasta la si comprava a Tirano. Con un po’ d’immaginazione potrei dunque azzardare che, nell’immaginario del bambino che fui, casa mia altro non era che un supermercato chiamato “IperUno”. Lasciamo da parte per un attimo però la mia immaginazione, e cerchiamo di riportare questo articolo su un piano meno metaforico.
Una quindicina di chilometri dividono la mia Valle, il posto dove sono nato e cresciuto, dalla terra di Dante. Eppure a volte ho l’impressione che le distanze siano molto più cospicue, se non in termini geografici, forse in termini di frequentazione, di condivisione e di quant’altro immaginabile. Perlomeno, la mia impressione è quella che a volte non ci comportiamo come gente che vive a 15 km di distanza. Non ho mai capito bene quanto in realtà i rapporti fra svizzeri e valtellinesi vadano oltre ad un riscontrabile “turismo commerciale” o ad aspetti puramente opportunistici. Noi, io e i miei compagni, in Valtellina si andava a socializzare durante il periodo adolescenziale. Le partite contro la Tiranese erano delle battaglie all’ultimo respiro, combattutissime e sentitissime. Ciò che non sapevamo, le diversità fra noi e i giovani calciatori in erba italiani, nostri avversari, erano fonte di curiosità. Si trattava di partitelle fra giovani tredicenni, anche se per noi in realtà erano sfide internazionali, un po’ come la “champions league”, con me, che come i campioni veri mi ero trovato a dover scegliere se giocare per una nazione o per l’altra, a causa della doppia nazionalità. Più tardi invece, quando i primi amici hanno ricevuto la patente di guida, siamo diventati pendolari del fine settimana, con mete locali come l’allora “Meridiana” di Sondalo e più tardi il “Folie café” di Sondrio. Da annoverare che qualche amico ha trovato anche morosa in discoteca su suolo valtellinese. Oggi, invece, si è passati a dar valore a ciò che più invecchia e più diventa buono e bello: il vino, per esempio. L’aspetto culinario la fa da padrone. Cena il fine settimana in qualche crotto d’oltre confine ad assaggiare i pregiati vini della zona e a riempirci la pancia con le specialità valtellinesi, per me fra le più gustose al mondo (i poschiavini non me ne vogliano).
Insomma, spero di avervi potuto fornire un primo quadro del modo in cui in passato ho abbattuto le barriere fra la mia valle e la Valtellina, l’Italia. Spero si capisca che non si trattava unicamente del fare la spesa, o del mangiare la pizza. Credo che intrinseca vi era comunque la voglia di conoscere e soprattutto di vivere una cultura, probabilmente meno distante dalla nostra, di quanto non lo sia quella svizzero tedesca.
Sarebbe opportuno però trovare un modo, e il nuovo spazio su Tirano & dintorni che si vorrebbe riservare alla questione è in tal senso un’opportunità, che permetta davvero di confrontarsi. Il mensile appena citato è però ovviamente e prevalentemente riservato ai valtellinesi. Come fare per ciò che riguarda i poschiavini? Al tempo stesso son fiducioso e convinto che tramite la fantasia e l’inventiva si possano trovare metodi e modi per facilitare la nostra comunicazione. Sul settimanale per cui scrivo, Il Grigione Italiano, vi è attualmente uno spazio dedicato a ciò che succede in Valtellina. Forse si potrebbe rivederne l’impostazione, migliorare la collaborazione fra questi due mezzi di informazione, onde offrire l’opportunità di pubblicare tematiche che interessino entrambe le fazioni. Un tentativo in più per guardare alle nostre vite, un po’ meno sotto l’ottica del “noi facciam questo” e “noi altri facciam quest’altro”, bensì maggiormente del “guarda un po’ cosa riguarda entrambi, e chi l’avrebbe mai detto. Potremmo farlo assieme forse…”, e così via. Pensate a tematiche attuali come “la viabilità (ogni riferimento al traffico da e per Livigno è puramente casuale), “i nuovi tralicci dell’alta tensione”, “la ferrovia retica”, “il calcio regionale”, “la sanità pubblica”, ecc… Chissà quanto potremmo acquisire e imparare gli uni dagli altri, attraverso un semplice e banale sforzo, quello di avvicinarci maggiormente dal punto di vista comunicativo, anzitutto? Perché non iniziare effettivamente dalla comunicazione? Strumenti, oggigiorno, sembrerebbero essercene davvero molti a disposizione, onde favorire tale vecchia pratica diffusa fra gli esseri umani; basta servirsene.
Josy Battaglia, collaboratore de Il Grigione Italiano
(da Tirano & dintorni, gennaio 2007)