C’è un’impressione della società italiana che i film italiani tendono a restituire da anni: che si vive, qui, come immersi in una palude. Si prova un senso di disagio, di frustrazione, di disorientamento: un dolore, che non si sa precisamente da cosa derivi e da cui di conseguenza non si sa come uscire.
Si annaspa cercando un rimedio. Ma si gira a vuoto.
Questa condizione di vita così opprimente, così angosciosa, la si ritrova descritta, con serietà, ma anche, per quanto possibile, con leggerezza, in un pregevole film italiano intitolato: L’ospite, diretto da Duccio Chiarini, un regista al suo secondo lungometraggio.
I personaggi del film hanno in gran parte un’età compresa fra i trenta e i quarant’anni; sono tutti o quasi tutti intellettuali e professionisti; soffrono della precarietà del lavoro, ma più ancora, è questo il tema vero del film, della precarietà delle relazioni sentimentali.
Vivono tutti in coppia, eppure, uomini e donne, sono eterni indecisi.
Si dicono innamorati della persona con cui convivono, eppure desiderano, almeno per qualche tempo, separarsene. Oppure: amano una persona, ma allo stesso tempo anche un’altra, e vagano dalla prima alla seconda.
Fa in parte eccezione il protagonista del racconto che, quando viene lasciato dalla sua ragazza – la quale, come si dice, vuole prendersi una pausa di riflessione, recuperare un po’ di spazio per se stessa, forse spaventata dal desiderio di paternità del suo partner – ebbene lui ne soffre terribilmente, forse un po’ infantilmente, comunque tenta come può di recuperare quel rapporto in crisi. Eppure anche lui si rivela intimamente indeciso tra l’amore per lei e il legame con una madre che ancora lo opprime, e da cui lui non vuole o non riesce a liberarsi del tutto.
Come a volte si può essere portati a pensare vedendo film incentrati sulla vita privata dei personaggi, quando essa è così tormentata, e loro non fanno altro che concentrarsi e dibattere sulle contraddizioni, sul groviglio, dei loro sentimenti, si può pensare che l’origine dei loro mali sia proprio nella loro eccessiva introversione, nel fatto di occuparsi troppo di se stessi, nell’incapacità di trovare un progetto, una missione a cui dedicare la propria vita; un valore che sia più importante di sé. È un rimprovero che forse non vale per tutti i personaggi. Forse. Per esempio, il protagonista si dedica da anni alla scrittura di un saggio su Italo Calvino.
Eppure una vena di moralismo percorre il film, che sembra imputare ai personaggi proprio il loro egoismo. E apparenta L’ospite ai primi film di Nanni Moretti. Ma in questo caso, tale vena satirica, polemica, è mitigata dall’affetto, quasi da un senso di pietà almeno verso alcuni dei personaggi; cosicché, anche se a volte ci irritano e ci respingono, finiamo per simpatizzare con alcuni di loro, e le loro storie a momenti possono perfino commuoverci.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 24 agosto 2019
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