Verso l’indistinto
Flavio Ermini, poeta, narratore e saggista, fondatore della rivista di ricerca letteraria Anterem, si distingue tra gli autori di letteratura contemporanea, per i temi delle sue opere basate su questioni relative al rapporto Poesia / Filosofia e sull’esperienza poetica del pensiero.
Pensiero radicato nella struttura umbratile dell’esistenza umana e veicolato dalla parola poetica nello spazio in cui l’essere stesso si manifesta. Pensiero e parola, nel loro intrinseco divenire, si annodano e si snodano, si separano e si congiungono, aprendo e/o favorendo il rapporto tra conoscenza di sé e dell’io e conoscenza del mondo. Conoscenza che resterà sempre limitata a causa dell’ostinato levarsi delle tenebre… per l’incompiutezza intrinseca all’essere umano e il proprio situarsi ai lati di una penosa dissoluzione / che (lo) mortifica… per la vita che gli resta.
Edeniche, nota Ermini nella Premessa, “ci narra della separazione degli esseri dalla sostanza indefinita e illimitata, in quanto destinati – quali esseri finiti e molteplici – alla contesa e al contrasto. Edeniche testimonia che è subentrato il conflitto là dov’era armonia”.
Conflitto istoriato in versi con andamento ritmico su distinti pannelli che, come in una galleria d’arte, si susseguono nell’armonica composizione del poemetto.
Un racconto poetico, quindi, sul dramma e sulla fugacità della nostra esistenza… / che si fonda sulla cenere… non sulla dura pietra… reso più angosciante dall’immaginosa visione di ciò che sarebbe dovuto essere se non ci fosse stata “la caduta” e la privazione di quel mitico giardino dell’Eden: Il sacro recinto.
…perdono vigore i corpi cadendo su rovi inospitali
e su se stessi si piegano e con l’uomo ancora cadono
perché la luce è così fioca da spegnersi d’un tratto
legata com’è alla parte indivisa del giardino
Sembra palpabile la nostalgia di un luogo stupendo, di meravigliosa pace, di quel senso perfetto di fusione e armonia con la luce e con la natura tutta.
È il mitico Eden raccontato in diverse antichissime culture e religioni, luogo incantato che forse abbiamo veduto prima di nascere, forse in sogno, forse nella memoria collettiva della nostra specie, o, come dice Carl Gustav Jung, attraverso l’inconscio collettivo della nostra stirpe, dei nostri antenati sconosciuti.
…testimonia il mortale l’interminabilità del cadere
incessantemente manifestandosi come verbale presenza
nell’imperfetta aderenza al pietroso crinale
per un altissimo grado di estraneità alle tenebre
Ne consegue il disagio dell’oscurità e delle tenebre e la perenne aspirazione all’Origine, alla fonte luminosa e totalizzante:
fa pensare alla salvezza la luce originaria
capace com’è di minare ogni nostra persuasione
grazie alla geometrica perfezione dei suoi raggi…
Flavio Ermini così, pagina dopo pagina, ci conduce attraverso gli intricati vicoli della dolente condizione umana, condannata all’esilio, tormentata fin dai primordi, da un’assenza, da una mancanza: soffre ogni pena l’umano…
Un incamminarsi verso l’indistinto, verso uno spazio aperto e infinito, epifania – forse – di un altrove.
Un percorso che mira, tra l’altro, a ristabilire la centralità della parola e del pensiero, non costruiti sulle categorie logiche, ma colti ai loro albori, nell’alveo della pre-scienza e della precognizione (ante-rem).
Un cammino dove …non dà scampo il tempo cui gli esuli si affidano / allorché assumono come centro l’apparire… e non investe soltanto l’aspetto ontologico, metafisico, ma anche il poliedrico vissuto di ciascuno di noi se… su questa terra palmo a palmo depredata / implacabilmente il tempo ci aggredisce / in un devastante potere di annientamento.
Tra le pagine di Edeniche, si legge anche il conflitto dei nostri tempi in versi pregni di riflessioni che suonano denuncia, amara e forte, nei confronti di una società impazzita e smarrita che sembra aver rinnegato ogni valore …tumulandoci sotto strati spessi di macerie / che l’epoca sottrae alle aule del cielo / nel far sì che l’umano essere sia sostituito/ da un susseguirsi ininterrotto di simulazioni…
Denuncia non fine a se stessa, ma per ricordare la funzione sublime della Poesia nella vita.
La Poesia è una grazia, scrive l’Autore nella Premessa, proprio perché riesce a superare l’antropocentrismo e l’illusoria superiorità dell’uomo sugli altri esseri viventi e ad unificare ciò che sembra diviso: apparenza e essere.
Nell’Editoriale al n. 98 di Anterem dal titolo “Perché la poesia?” (uscito contemporaneamente alla pubblicazione di Edeniche) Flavio Ermini, come ad esegesi dell’elemento costitutivo di questa sua ultima opera, scrive:
«(…) Il nostro esserci – così strettamente legato al più ampio esserci del mondo – non può essere ridotto a oggetto. Esattamente come a oggetto non possono essere ridotte le parole. Le quali non sono segni convenzionali: al contrario coincidono con le cose; ne svelano la natura autenticamente albale. (…) Il fine è di stemperare abitudini mentali consolidate in terra d’esilio, per aprirsi a prospettive di pensiero impreviste, a rivelazioni che non producono conoscenza, ma al contrario attraggono l’esistenza verso una destinazione nuovamente principale».
E se la poesia non può essere, come aspirano in molti, strumento di mutamento della realtà, forse può consentire una qualche forma di resistenza all’ ingiustizia e al male .
«Il cammino da compiere» continua Ermini nell’Editoriale citato «implica un cambiamento di forma dell'esistenza, un cambiamento di vita, un decidersi per una relazione essenziale con il mondo. L’intento è di giungere puntuali all’incontro con il pensiero dell’essere, pensato nella sua indivisibilità».
La poesia di Edeniche, dunque, veicola messaggi nutriti e forti in riferimento all’essere e all’esistenza ossia a tutto ciò che costituisce ed incarna l’intima, reale essenza della condizione umana... che danza nel silenzio e nel mistero.
È introspezione del “sé”, ma anche desiderio di aver cognizione del primordiale inizio dell’umano cammino su questa terra, finalizzato al raggiungimento di un quid più elevato e più sublime. Come se in ogni singola anima individuale ci fosse un frammento di realtà evocante l‘Eden, il Bene perduto cui ardentemente ci si vuole ri-congiungere.
Nell’area di confine tra realtà palese e mondo invisibile si muovono i viventi / fatti come sono di piccole ali… uno spazio che forse soltanto ai mistici e ai poeti è concesso vedere, coscienti della sofferenza come passo obbligato...
si copre di flebili voci il giardino
per cui subito apprendiamo
quanto il volo terreno sia breve
in questi vaghi spazi circostanti
così prossimi all’ultimo finito
grazie al varco attraverso le rovine.
Un umano cammino contrassegnato sì, da caducità e afflizione, ma proiettato verso quello spazio aperto e infinito, prefigurante l'Altrove.
E se non c’è la certezza di una qualche forma di redenzione o di personale ri-congiungimento al Bene perduto, almeno, grazie alla Poesia, si offre al pensiero e alla parola l’opportunità di guardare dentro di noi e dentro la realtà del mondo circostante.
Giuseppina Rando
Flavio Ermini, Edeniche
Configurazioni del principio
Moretti & Vitali, 2019, pp. 144, € 14