Rispetto all'atto di uccidere, il cinema e il senso comune hanno di solito due punti di vista diversi, e anzi opposti. Nel cinema, uccidere è tante volte un atto talmente consueto da non suscitare in chi lo compie nessun raccapriccio, nessun rimorso; e nello spettatore che vi assiste, nessuna particolare sorpresa. Mentre evidentemente nella realtà costituisce, in genere, nella media, tuttora un tabù, una barriera ardua da superare, per chi dovesse compierlo.
Questa constatazione mi è suggerita da un film, diretto da un autore molto bravo, Salvatore Piscicelli – di cui gli ascoltatori più cinefili ricorderanno almeno i primi due film: Immacolata e Concetta e Le occasioni di Rosa - che si intitola: Vita segreta di Maria Capasso. È tratto da un suo romanzo omonimo, e si svolge, anche questo suo ultimo film, a Napoli.
La Maria Capasso del titolo, nel corso del racconto, sarà indotta, si lascerà indurre, a compiere un omicidio. Ma non appartiene al mondo del crimine. È soltanto partecipe di quella media corruzione per la quale, ad esempio, ci si dà da fare, tramite conoscenze, per ottenere l'assegnazione di una casa popolare alla quale non si avrebbe diritto. Per vivere, svolge l'onesta professione di estetista. Ed è sposata a un onest'uomo dal quale ha avuto tre figli.
È vero che in un altro momento del racconto, un po' precedente all'omicidio, trovandosi in gravi difficoltà economiche, aveva accettato di trasportare in macchina, fino in Svizzera, dei pacchetti di cocaina. Ma era un compito in apparenza “pulito”. E poi in Svizzera operava un celebre oncologo che avrebbe potuto fornirle un consulto per suo marito, malato di cancro.
Così, quando alla donna viene proposto di commettere un omicidio – ricevendo in cambio una somma di denaro che le consentirebbe di aprire una propria attività commerciale – e lei, vinta una perplessità che dura lo spazio di una notte, accetta, ebbene: si prova un senso di inverosimiglianza che compromette la nostra adesione al racconto.
Una persuasione così rapida, una così perfetta mancanza di scrupoli, e poi una tale disinvoltura nell'atto di uccidere, sarebbero forse risultate credibili se il campo di osservazione del racconto – che qui è tutto stretto intorno alla vita privata della protagonista: la sua famiglia, il suo amante poco di buono, le sue colleghe di lavoro – se quel campo si fosse allargato dandoci il senso di un ambiente, di una mentalità, nei quali l'omicidio non è percepito come un tabù.
Va detto, tuttavia, che se questo è un punto debole del racconto, sia pure collocato in un momento cruciale della storia, per il resto il film più che credibile è ammirevole, per la sottigliezza, per le ambiguità, per le sfumature, con cui sono resi i rapporti tra tutti i personaggi della vicenda. Una vicenda che se ha i tratti di un melodramma – perché tra i suoi ingredienti ci sono la passione, il tradimento e la morte – è poi come raggelata da una corrente narrativa contraria, in cui prevalgono ingredienti di altro genere: il calcolo, il cinismo, l'arrivismo, la spietatezza.
Gli attori sono tutti bravissimi, a partire da Luisa Ranieri nel ruolo della protagonista. Ma voglio ricordare almeno Daniele Russo, nel ruolo dell'amante “malamente”, e Marcella Spina, nel ruolo della figlia adolescente di Maria Capasso.
Nel complesso, da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 20 luglio 2019
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