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Alberto Figliolia. “Visible Invisible” di Liu Bolin
Liu Bolin,
Liu Bolin, 'Memory Day', 2015 (Courtesy: Boxart, Verona) 
17 Luglio 2019
 

Fotografia e performance. Mimetismo e intervento nel sociale. Come definire l'arte di Liu Bolin, il fotografo che usa il proprio corpo per “nascondersi”, che poi è un celarsi-rivelarsi, nelle immagini di grandi dimensioni che con pazienza compone nelle situazioni e negli ambienti più disparati? Body art a suo modo e arte fotografica per una suggestione senza pari. Liu Bolin sceglie un paesaggio urbano o umano (vedi i migranti) e, appositamente rivestendosi (di base un'uniforme fra il civile e il militare) e dipingendosi con una logica cartesiana e camaleontica, si colloca in un ritaglio di quello spazio come se ne fosse parte costitutiva. Straniante, efficace, potente. Si configura quindi una sorta d'invisibilità visibile, una sagoma fissa perfettamente “confusa” con ciò che sta intorno – siano pietre, stoffe, plastica, monumenti, Natura o quant'altro – che pure agisce con il suo silenzio e nella sua apparente immobilità. Geniale.

Fu il 2005 a segnare l'incipit di quest'opera di Liu Bolin, dopo lo smantellamento del Suojia Village a nord-est di Pechino, in cui l'artista viveva. “Tracciando in maniera rudimentale sul proprio corpo le linee delle macerie del suo quartiere, in virtù della loro convergenza con il punto di fuga dall'ottica della telecamera, Liu Bolin ottiene un'immagine in cui l'elemento perturbativo dello spazio, rappresentato dalla propria fisica tridimensionalità, costringe lo spettatore a soffermare lo sguardo su quella esatta porzione di realtà”.

Il corpo dell'artista, scultura vivente da body painting, integrato con lo sfondo viene infine fotografato. Come detto, l'esito è stupefacente inducendo, con l'ammirazione per l'operazione tecnica e artistica, a una profonda riflessione: sulla storia, sulla società dei consumi, sui drammi del nostro tempo, sull'impatto della tecnologia con la l'ambiente naturale, sul concetto di autorità e Potere.

Ci si immerge dunque nel fiume delle serie ideate da Liu Bolin: dalla nativa Cina – la Grande Muraglia, la Città Proibita... – al tema dei migranti, distesi sulla spiaggia in uno stato di semi-incoscienza o come esseri tinti di blu (il colore del vessillo dell'Unione Europea e del mare che tanti corpi ha inghiottito) oppure stagliantisi sulle moli dei barconi; dall'Italia, quasi una seconda patria – culla di civiltà al pari della Cina – fra il Teatro alla Scala e il tetto del Duomo di Milano, il Colosseo, Castel Sant'Angelo, il Mosè e la Pietà Rondanini di Michelangelo, la scalinata di Trinità dei Monti, Pompei e la Reggia di Caserta; e gli oggetti della tecnologia con il suo marchio d'invasività e quelli del supermercato per la cifra del consumo; libri, riviste e giornali; le cabine telefoniche inglesi, la bandiera americana, quella cinese e le altre, il Toro di Wall Street, grattacieli; e ghiacci eterni.

Denuncia? Riflessione critica? Contestazione politica e sociale? Le fotografie di Liu Bolin hanno diversi livelli di lettura, oltre l’immediatezza espressiva. Dietro lo scatto fotografico che si conclude in un momento c’è lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso, che rivela la coscienza dell’artista e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità”.

E ancora... “Attraverso le sue opere Liu Bolin cerca di sviscerare le contraddizioni dell’uomo contemporaneo e di indagare nel profondo il rapporto tra la civiltà creata dall’uomo e l’uomo stesso. Il primo impulso trasposto nelle fotografie di Liu Bolin, che possiamo dividere in ‘serie’ sulla base del tema affrontato o del luogo oggetto dell’attenzione artistica del performer, è stato la ribellione nei confronti delle autorità, che nel 2005 stavano demolendo il suo studio nel Suojia Arts Camp per far spazio al progresso e al nuovo che avanza, distruggendo però tutto il mondo alle spalle dell’artista, e quindi anche la tradizione e l’identità di un popolo. Nasce la serie Hiding in the city, esposta in mostra. Liu Bolin prosegue nella ricerca sulla sua vita e sui punti in comune con le vite degli altri, i temi sociali che racchiudono i luoghi da lui visitati e l’impatto del proprio messaggio artistico sulla società. Individuare dunque lo spazio giusto diventa fondamentale per comunicare il messaggio. […] Tra le fotografie più celebri, anche il ciclo Migrants – tema particolarmente caro al MUDEC dove Liu Bolin ha coinvolto altri performers, ovvero dei rifugiati ospiti di alcuni centri d’accoglienza in Sicilia. In questo caso, l’identificazione con lo sfondo lascia il posto alla spersonalizzazione dell’io e di un popolo, che non ha più volto se non quello della disperazione umana e della denuncia sociale”.

Osservati durante la mia visita vari bambini in dinamica estasi, eccitatissimi alla vista e all'esame accurato delle opere esposte. Impagabile Liu... Come riuscire a “divertire” sapendo di poter informare e creare conoscenza!

 

Alberto Figliolia

 

 

Visible Invisible di Liu Bolin. Fino al 15 settembre 2019. MUDEC Museo delle Culture di Milano, via Tortona 56. Una mostra prodotta e promossa dal Comune di Milano-Cultura, MUDEC e 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Boxart Gallery, a cura di Beatrice Benedetti.

Info e prenotazioni: mudec.it, www.ticket24ore.it; tel. +39 0254917.


Foto allegate

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