Quando il percorso alle spalle è molto lungo e abbiamo fatto buon uso -almeno il migliore possibile- della vita che ci è stata donata, con l’obiettivo di non vivere “una piccola vita”, e quando “ci sono ancora/ cose da fare/ tra i vuoti del mosaico”, si può avere il desiderio di lasciare un forte messaggio a “la bella la giusta la dolce giovinezza”, che sappia sviluppare una “reale e saggia divergenza” e imparare a “stare tra gli altri/ senza allontanarsi da se stessi/ essere in un coro con la propria voce/ a protestare con le idee e l’intelligenza”.
Il buio più oscuro, secondo Gianfranco Jacobellis, viene dalla mente, e solo la conoscenza è madre di spiriti liberi. Del resto “è servo di un grande potere/ il pensiero che non sa capire”.
Coltivare la memoria di un solido passato è indispensabile per vivere e interpretare il presente e per porre le basi del futuro dove l’amore venga alimentato, altrimenti l’uomo rischia di diventare un’isola sempre più disabitata piena di dolore, perché il “dolore è rifiuto di amare”. Non siamo isole, bensì viviamo in un “tutto che contiene tutti”.
Ne I vuoti del mosaico il contrasto luce-ombra è trasversale, con i valori simbolici che contengono: luce del sole e ombra portata dalle nubi che lo coprono, luce di conoscenza e verità e ombra che nasconde il vero, luce/vita contro ombra/fine. Il tramonto si fa sempre più vicino, se ne può raccontare la malinconica bellezza, intanto il vento fa scorrere la nubi in un divenire, in un accadere continuo, vento di passioni e soffio vitale, anima.
I colori della vita fanno contrastano con la nebbia in agguato, le stelle di cristallo che hanno impreziosito le notti non ce la fanno a vincere sul buio, del resto si è persa “la scala per le stelle”, una scala dai gradini ormai consumati, lisi.
L’ombra della morte, che con pazienza ci segue, appare non in maniera drammatica, perché non sarà una fine bensì un trapasso verso una luce nuova: succede anche alla sabbia della clessidra, che cambia luogo ma non scompare. C’è un senso di continuità, “un andare e venire/ tra il vivere e il morire”.
Del resto la morte vera la sperimenta ogni giorno “chi da vivo cancella il mondo/ e le altre memorie/ è la sua solitudine/ la vera morte”. Continua a vivere chi ha donato radici alle sue parole.
Tuttavia non si nega il desiderio di vita, non ci si arrende, ma si riconosce che ora il passo si è fatto più leggero, che l’ombra arriva con un transito più frequente delle nuvole sulla luce.
Rimane la grande meraviglia e la insoluta domanda sulla vita: sogno o realtà il nostro percorso? Essere o pensare di essere? Forse “morire/ è solo un altro modo di sembrare”?
Marisa Cecchetti
Gianfranco Jacobellis, I vuoti del mosaico
Biblioteca dei Leoni, 2019, pp. 192, € 12,00