La calunnia è un venticello,
un’auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente
incomincia a sussurrar…
(Gioacchino Rossini,
Il barbiere di Siviglia)
È la famosa arietta che richiama l’Atto I dell’opera lirica Il barbiere di Siviglia (1816) di Gioacchino Rossini, quando Don Basilio, losco maestro di musica di Rosina (protagonista femminile dell’opera e innamorata del Conte d’Almanova) suggerisce a Don Bartolo (tutore innamorato della stessa Rosina) di screditare e calunniare il Conte, infamandolo agli occhi dell’opinione pubblica.
Un’arietta di perenne attualità che evidenzia molto bene ciò che avviene nella quotidianità di tutti noi: lavoro, rapporti sociali etc.
La calunnia, come la maldicenza, la diffamazione sono simili al “crescendo” del venticello di rossiniana memoria che ne evidenzia l’evoluzione e il maligno dinamismo della calunnia. Da brezza piacevole il venticello si trasforma in tempesta, in tumulto in forza dirompente che riesce ad emarginare, umiliare, deridere e, qualche volta, perfino far morire lentamente il calunniato.
Una forza subdola e perversa.
Notizie false, malignità, basse insinuazioni, sospetti infondati, sarcasmo, ironia sferzante, maldicenza sono tutti canali con cui il venticello maligno si diffonde. Purtroppo è uno sfizio comune (una tentazione?) far cadere una falsità nei confronti del prossimo in un discorso e lasciare che essa cammini. Lentamente essa prenderà corpo e diventerà una “verità” forse anche per chi l’ha lanciata all’inizio.
Il poeta greco Esiodo in Le opere e i giorni affermava: Un pettegolezzo calunnioso non svanisce mai del tutto se molti lo ripetono: anche la calunnia è una specie di divinità. Certamente lo è per la sua forza dirompente che riesce a demolire e rovinare.
Amaramente vera poi la battuta di Amleto ad Ofelia: Pur se tu sei casta come il ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia.* E le consigliava come scampo il convento.
Ma esiste un riparo al terribile venticello? Forse, se tutti seguissimo l’esempio del saggio filosofo greco, qualcosa si potrebbe ottenere: si racconta che Socrate, ad un amico che stava per riferirgli, in gran segreto, una notizia sul conto di un altro, chiese: “Hai passato la tua intenzione ai tre colini?”
Interpellato su cosa volesse dire con quella frase, Socrate spiegò:
“Uno: sei sicuro che la cosa che stai per dirmi è vera?
Due: sei sicuro che stai per dirmi una cosa buona?
Tre: sei sicuro che sia proprio utile che io lo sappia?”
L'amico comprese e rinunciò al suo proposito. Lontano ed inaccessibile esempio di rettitudine.
Molto spesso, invece, anche le menti più raffinate vengono irretite dal fascino perverso del pettegolezzo malevolo e della calunnia.
Giuseppina Rando
* Shakespeare, Amleto, Atto III.