Firenze – Per cercare di capire, proporre e articolare in materia Stati Uniti d’Europa,1 c’è un punto di partenza che, anche se magari non ce ne rendiamo conto, deve essere modificato per meglio comunicare: pensare europeo. È difficile perché sono ancora troppo pochi gli anni in cui all’interno dell’Europa non ci facciamo le guerre tra noi. E le contese in corso tra gli Stati europei, piuttosto che essere come quelle tra uno Stato ed un altro di un’Unione federale dove quest’ultima nell’ambito dei suoi poteri ha la parola finale, o come quelle (semplificando) tra una Regione (Italia) o un Dipartimento (Francia) o un Lander (Germania) e un altro, le contese tra Stati europei portano anche a tensioni diplomatiche… si pensi a tutte le vere e proprie fesserie pronunciate da alcuni componenti del governo italiano contro la Francia in questi ultimi mesi…
È difficile, ma dobbiamo impegnarci per cambiare se il nostro obiettivo non è solo la gestione dell’esistente ma la costruzione del futuro.
Pensare europeo significa che i nostri referenti non devono essere solo i nostri (italiani) europarlamentari o i nostri partiti attraverso i quali sono stati eletti, ma tutti gli eurodeputati e i gruppi politici che si formano all’interno del Parlamento di Strasburgo. Sono loro, e le istituzioni che ne scaturiranno il nostro riferimento, per rivendicazioni, idee, confronti, proposte e battaglie. Per quanto alcuni dei poteri dell’Unione non siano totalizzanti per l’amministrazione della nostra quotidianità. Caso per caso, dall’agricoltura alle telecomunicazioni, dalle libertà individuali ai diritti sanitari, dobbiamo pensare europeo. Difficile? Ribadiamo: sì! Soprattutto perché, per esempio, in tema di libertà individuali ci sono differenze e l’Italia talvolta non è detto che debba “apprendere” da altri Stati… alcune recenti leggi della Repubblica Ceca o di Polonia sono da brividi… o le norme in materia di prostituzione in tre Paesi come Italia, Olanda e Svezia sono tutto e il contrario dello stesso tutto: ipocrisia, legalizzazione, proibizionismo.
È un lungo e articolato percorso di crescita culturale ed istituzionale che dobbiamo affrontare. In un contesto in cui ci occorrono dei punti di riferimento su cui già “unirsi” per superare queste limitazioni, punti di riferimento che poi possano fare da apripista.
Uno molto importante riguarda la politica estera dell’Unione. Oggi è una sorta di fantasma in cui l’Alto commissario per la politica estera e la sicurezza pubblica fa la sua parte, e non potrebbe essere altrimenti vista l’assenza dell’Unione nei principali contesti internazionali in materia, primo fra tutti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.2 Se pensiamo che l’Unione Europea è una potenza economica (pur rappresentando il 7% della popolazione mondiale, produce il 25% della ricchezza mondiale) e che due dei suoi principali membri come Gran Bretagna (anche se sta al momento ”formalizzando” l’abbandono dell’Unione) e Francia fanno parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU... c’è qualcosa che non torna, politicamente, economicamente e praticamente. Non torna il fatto che l’Unione non abbia una sua “credibilità” istituzionale e politica per essere considerata al pari di altre potenze ritenute fondamentali per la sicurezza nel Pianeta (pur con tutti i limiti che questo significa rispetto alle funzioni ONU).
Questa mancanza nasce da un dato di fatto: la non-esistenza di un esercito europeo e il conseguente appiattimento dell’Ue alla politica di Difesa degli Stati Uniti d’America.
Proprio oggi, l’ex-ambasciatore Sergio Romano, sul quotidiano Corriere della Sera, scrivendo sugli armamenti degli Usa, conclude: «Non credo che all’Unione Europea convenga affidare le proprie esigenze militari ad aziende che sono così strettamente legate agli interessi, spesso molto discutibili (ndr: Arabia Saudita), di una grande potenza». Un argomentare che mette il punto su una serie di “imbarazzi” che l’Ue deve subire proprio per il suo appiattimento in materia sugli Usa.
In estrema sintesi. Visto che al momento di eserciti ne abbiamo ancora bisogno (e per fortuna la coscrizione obbligatoria è una rarità), sarebbe bene che questo bisogno fosse adeguato alle reali e potenziali esigenze. Certo, non abbiamo bisogno di difendere i confini dell’Unione, così come non abbiamo bisogno di difendere quelli dell’Italia. Ma la funzione dell’esercito nello scenario internazionale ha ancora una sua valenza, quantomeno per contenere e scoraggiare quei Paesi che credono ancora di potersi affermare con la potenza militare (le guerre in corso, ne sono drammatico esempio) o quei gruppi di fanatici che espletano la loro politica con assassinio e violenza.
Se il pensare europeo potesse anche perfezionarsi dalla creazione di questo esercito… e la ovvia conseguenza del venir meno dei poteri degli Stati in materia, sarebbe un passo avanti. Molto importante. E noi crediamo che nell’Unione che è venuta e verrà fuori dopo l’ultima tornata elettorale di maggio scorso, numeri e prospettive in tal senso ci possano essere. Auspichiamo che i gruppi maggioritari che comunque governeranno Parlamento e Unione (popolari, liberaldemocratici, socialdemocratici, verdi), proprio in virtù di quel “pensare europeo” da cui siamo partiti in questa riflessione, capiscano l’importanza anche di là del fatto specifico e se ne facciano carico.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
1 Li si chiami come si confà maggiormente ad ognuno. L’importante è, almeno allo stato dei fatti (primordiali sul soggetto), capirci: stiamo parlando del perfezionamento della nostra Unione e, per semplificare e farsi meglio capire, torna più facile il paragone coi più famosi Stati Uniti federali, quelli americani… Che poi ci sarebbero quelli messicani, quelli australiani, quelli indiani…
2 Che è composto da cinque membri permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Usa) e dieci membri non permanenti eletti in rappresentanza dei Paesi membri dell’ONU.