Sabato 25 maggio 2019, presso l’Auditorium dei Ginnasi, a Roma in via delle Botteghe Oscure, 42, è stata rappresentata l’opera La Regina e gli insorti (1949) di Ugo Betti (1892-1953), adattamento e regia di Carla Greco, euritmia a cura di Marina Censori.
Si tratta di una delle produzioni più felici del drammaturgo, amico di Carlo Emilio Gadda e di Bonaventura Tecchi, contemporaneo di Luigi Pirandello (1867-1936).
Questi legami artistici non sono irrilevanti ai fini della maturazione della concezione narrativa e teatrale di Ugo Betti, sia per i numerosi e significativi risvolti dell’opera ora rappresentata, sia per lo slancio in avanti che precorre, in qualche modo, la centralità del soggetto femminile nella vicenda umana, della nascita, della morte e della resurrezione. Vicenda che tutti accomuna.
Interpreti d’eccezione sono stati gli insegnanti, frequentanti il Corso di Formazione Triennale presso la Scuola “Il Giardino dei Cedri” di Roma, al loro terzo anno di preparazione. L’ultimo atto di quell’intenso cammino di conoscenza della pedagogia Waldorf che li porterà a fare l’ingresso sulla scena della classe della Scuola Steiner. Come bene ha sottolineato la loro esperta Maestra di arte pedagogica steineriana, questi neo insegnanti entreranno nella classe e si volgeranno ai bambini con l’atto di compiere un immenso abbraccio umano. Accoglieranno i piccoli per condurli alla scoperta di se stessi e del mondo. Sempre con arte, inevitabilmente con amore, preziosamente con passione, visibilmente con convinzione profonda della scelta educativa che sin dall’inizio della scuola di formazione li ha orientanti ad intraprendere un percorso di vita, oltre che professionale. Va anche ricordato che la Maestra Carla Greco, pioniera della Scuola di via delle Benedettine, fondata a Roma nel 1978, ha saputo ben combinare il suo temperamento teatralmente pensieroso con la pedagogia scolastica, facendo del teatro non solo la sua “idealità”, ma anche e soprattutto il suo mezzo principe dell’educare i bambini, gli scolari, i maestri e i giovani insegnanti che si dirigono verso il risveglio della coscienza.
Carla ha introdotto la rappresentazione ricordando i Sei personaggi in cerca d’autore (1921) di Pirandello, con la rivoluzione portata sul palcoscenico sceso verso il pubblico e il pubblico salito sul palcoscenico, semplice intuizione e grande capovolgimento dei ruoli e delle posizioni di chi recita e di coloro che guardano recitare ma che poi recitano anch’essi. Questa dinamica del dentro e del fuori, dell’essere e del non essere si ritrova anche in La Regina e gli insorti. Pirandello ha avuto intuizioni geniali che segnano ormai la funzione della rete scenica. Betti non copia l’intuizione del Premio Nobel, ma siamo noi che veniamo oggi a rivisitare i tracciati del pensiero capovolto.
Due ore di spettacolo intenso, una rappresentazione bellissima in cui i personaggi entravano magnificamente gli uni negli altri con una nota tipicamente di tatto pedagogico. Infatti, poiché tutti gli allievi della classe dovevano recitare e poiché i personaggi non erano sufficienti per dare ad ognuno una parte, ecco che si risolve il problema facendo interpretare la regina a due alunne e l’eroina, Argia, candidata a passare dalla strada alla reggia, a molte altre alunne. Ognuno porta avanti la recitazione in un magico susseguirsi di volti. Altri personaggi femminili, vestiranno i panni degli uomini. Solo un uomo sarà il conduttore della trama con metamorfosi di umore e di comportamento che avvalorano il trauma del cambiamento personale, sociale e politico. Un giro della storia che vede l’amante posseduto poi diventare il carnefice spietato di chi prima aveva amato. Questo personaggio che conduce prima amore e poi distruzione, che riconosce e poi rinnega, resta sulla scena sempre lo stesso. Mentre Argia, la signora dai costumi scomposti, provata donna di vita, entra in tante altre donne e trasforma la sua vanità economica in compassione per una Regina che ha perduto tutto, tranne che quella fragilità che la scopre come donna gettata sul mercato della vita, senza alcuna esperienza, e con tanta paura. Paura di vivere, di fuggire, di dichiararsi, ed anche di essere mamma fedele.
Dal palco emanavano forze intense e contrastanti, intonate ad una insolita armonia. Equilibrio perfetto delle espansioni innumerevoli dell’essere umano. Grande la Maestra, regista dell’anima ed educatrice del volere che conduce alla scelta libera.
L’opera veicolava non tanto la tragicità dell’esistenza, quanto piuttosto quei valori della vita che chiamiamo: amicizia perdono, accoglienza, amore, rivelazione, passione, rispetto, dignità e poi i temi della scelta, della rivoluzione, della ribellione, delle classi sociali, della giustizia, dell'uguaglianza, della resurrezione, dell’emigrazione e della fuga, della liberazione, insomma educazione artistica, valoriale, estetica, sociale, culturale, politica, economica, umana. Il tutto lo chiamiamo pedagogia, e non solo pedagogia Waldorf.
Educare con il teatro è un'arte incommensurabile. È come una protesta culturale alla scuola quantitativa che guarda al bambino da classificare più che da amare. In questa rappresentazione si sono visti i caratteri dei personaggi sapientemente combinati, i ritmi biologi differenziati, i movimenti sinuosi lenti, incerti, spediti di ciascuno e di tutti. La poesia dell'anima vivente. La persona umana. Il tocco silente dell'euritmia che introduce al testo recitato, come un preambolo intrecciato di fasce che avvolgono l’io di ognuno che si trova lì non per caso. La speranza sommersa è che qualcuno abbia ripreso il tutto perché questa rappresentazione potrebbe essere portata come lezione nella formazione degli insegnanti anche nei corsi universitari di pedagogia. Potrebbe essere studiata, rivedendola con gli occhi di tutti. Ci sono innumerevoli simboli ed importantissimi significati.
Qualcuno ha letto politicamente il primo atto, descrittivo della situazione, in termini di caduta della monarchia e di mobilità sociale delle classi subalterne; qualche altro commentava biograficamente il ruolo della Regina, pensando forse ad Anastasia? Betti non lo dice e noi possiamo costruire castelli su una tipologia di copione che si ripete intransigente. In effetti, la scena della morte di Elisabetta, la Regina stesa a terra sul palco e poi rialzatasi per uscire, il tutto sotto le luci accese e vivaci che la illuminano, mette in dubbio la sua stessa morte. Ed allora come non pensare alla adolescente Anastasia, da poco ritornata alla ribalta con la pretesa di svelarne appunto la scomparsa ed il ritrovamento?
Lo spettacolo termina con la sorpresa dell’Angelo protettore di colei che è insieme Argia ed Elisabetta. Una donna che si offre in sacrificio, non prima però di aver espresso il suo rammarico per l’oltraggiata dignità che non gli uomini, ma la vera Regina le permette di redimere in un moto di libertà. Risplende la vita nel momento della morte e la donna vestita di rosso sgargiante afferma con tutto il suo essere, spirituale e materiale, l’avvenuta conquista di una nuova coscienza e la testimonianza del possibile cambiamento. Il senso della ribellione profonda sta in questo cambiamento e non certo nella caduta di un potere, spesso triste avvicendamento di scenari ripetuti all’infinito.
»» Vedi anche “La pedagogia steineriana in Italia” (Tf, 11/04/2019)
Sandra Chistolini