Uno degli argomenti che usano spesso i critici per dimostrare che un personaggio non è artisticamente riuscito, è che quel personaggio è un cliché, un tipo convenzionale. Ma quand'è che un personaggio è effettivamente un cliché?
A mio parere, non soltanto, e non soprattutto, quando personaggi simili a lui si ritrovano in tante opere, che siano romanzi o siano film. Ma quando quel personaggio è così elementare, così schematico, da non riuscire a rendere minimamente la complessità, le ambiguità, le sfumature, della vita reale. Per esempio: un noto cliché è il clown che sulla scena ride, e nella vita privata piange: una contrapposizione netta, così enunciata evidentemente schematica.
Eppure, i due personaggi protagonisti del film inglese Stanlio & Ollio, ispirati ai due celebri comici americani, e che sembrano ricalcare quel cliché, si arricchiscono poi di mezze tinte e di chiaroscuri, di una gamma di sentimenti che comprende ma anche trascende la tristezza, e insomma, comunque, “prendono vita”.
Il film si concentra in particolare sul declino della loro carriera, quando, negli anni Cinquanta, il loro manager americano, nel tentativo di rilanciarli, organizza per loro una tournée in Europa, in Gran Bretagna. Ma i teatri che in un primo tempo li ospitano, appartengono a un circuito minore, e, anche se di capienza modesta, restano semivuoti, forse perché anche il pubblico inglese si è dimenticato di Stanlio e Ollio, o li crede definitivamente ritirati dal mondo dello spettacolo, sostituiti sulla scena da due sosia.
E soltanto quando i due rilanceranno la loro popolarità, sponsorizzando eventi, dandosi alla pubblicità, convinceranno gli spettatori di essere ancora vivi e vegeti, e riusciranno a riempire anche uno dei maggiori teatri di Londra.
Ma perché il film – diretto da Jon Baird – non ci dà mai un'impressione di schematicità?
Perché, ecco, anche nel momento più buio della vicenda, al culmine del declino della carriera dei due comici, tra albergi di infimo ordine e teatrini periferici, la vita dei due personaggi è rischiarata dalla loro instancabile creatività (gli sketch che producono sulla scena sono rifiniti in ogni minimo gesto, intagliati come gioielli; e continuano a immaginare e a raccontarsi le scene, originalissime, di un film da realizzare); e perché entrambi continuano ad amare le loro mogli; e perché li anima la loro amicizia, drammatica, a momenti tempestosa, ma comunque quantomai intensa.
E quando invece il successo sembra tornare ad arridere loro, ebbene: il racconto ci avverte che i fasti di un tempo sono irripetibili, perché comunque il film su cui continuano a fantasticare non troverà un produttore, e perché la salute di uno dei due è gravamente compromessa, e il ritiro dal lavoro gli è prescritto dai medici.
Uno dei possibili significati che si possono trarre dalla vicenda è che l'Europa è un asilo di quegli artisti lanciati dall'industria di Hollywood, da quell'industria sfruttati fino in fondo e poi spietatamente abbandonati, a favore di nuovi prodotti, in questo caso comici più giovani e più appettibili per il grande pubblico.
Il caso di Stanlio e Ollio fa da eco, in questo senso, alla vicenda odierna di un grande comico, ma anche un grande autore cinematografico americano, Woody Allen, osteggiato in America per un'accusa di pedofilia che un'inchiesta giudiziaria ha smentito, censurato, tanto che il suo ultimo film in America non potrà uscire, ma che continua a trovare migliori accoglienze in Europa. È di questi giorni la buona notizia che la Lucky Red di Andrea Occhipinti farà uscire in Italia l'ultimo film di Allen: A rainy day in New York. E Allen si appresta a girare un nuovo film in Spagna.
Nell'attesa vi raccomando di vedere Stanlio e Ollio, peraltro distribuito dalla stessa Lucky Red, magnificamente interpretato da Steve Coogan e John Reilly, capaci di una mimesi non esteriore ma intima, dei due grandi comici che interpretano.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale l'11 maggio 2019
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