Si sa che l'arte dovrebbe perseguire, prima ancora che la realtà, o: piuttosto che la realtà, la verità. Infatti la verità, o almeno: una verità, può essere espressa anche attraverso una favola, dunque un racconto tutt'altro che realistico.
Ora, io credo che sia proprio una verità al fondo del racconto, a conferire una certa grazia, una certa bellezza, alla favola narrata da Tim Burton nel suo film: Dumbo, che è il rifacimento in live action, dunque con attori in carne ed ossa, del cartone animato realizzato nel '41 da Walt Disney.
Dumbo è il soprannome di un elefantino reso goffo, sgraziato, da due lunghe orecchie che gli pendono ai lati del volto (dico: volto perché è un animale un po' antropomorfico, come capita nei film di Disney).
Esibito sulla pista di un circo, Dumbo viene dileggiato per il suo aspetto dal pubblico, ma soltanto fino a quando quelle sue ridicole orecchie si riveleranno due ali, capaci di fargli spiccare il volo, suscitando lo stupore e l'ammirazione di tutti gli spettatori.
Si sa che i simboli delle favole si prestano a svariate interpretazioni.
Forse perché il personaggio appartiene al mondo dello spettacolo, si può pensare che nella figura di Dumbo si nasconda il diverso per eccellenza, e cioè l'artista, quel Poeta che Baudelaire in una celebre poesia paragona a un albatro, il gabbiano dalle lunghe ali; quelle ali che, quando è costretto a camminare, rendono i suoi passi goffi, tanto che, racconta Baudelaire, i marinai che lo catturano lo dileggiano, ma che poi gli permettono di spaziare a proprio agio in cielo, vale a dire, fuor di metafora, nei cieli dell'immaginazione.
Il film di Tim Burton sembra favorire questa interpretazione, perché il suo elefantino, più espressivo degli umani che lo circondano, vive dei propri sentimenti, che siano la depressione o l'euforia, il terrore o l'esaltazione, o la tenerezza: e cioè non li dissimula, vi si identifica interamente, come capita ai bambini, o, appunto, ai poeti, come almeno immaginiamo che i poeti siano.
Suoi alleati sono infatti: i bambini e alcune donne; mentre i suoi nemici sono gli uomini adulti, i più integrati nel mondo, dominati dalla logica del virilismo e degli affari: due principi che li alienano dai sentimenti, li inducono a mascherarli, o peggio ancora a soffocarli.
Va detto che non tutto il film di Tim Burton ha la bellezza della sua invenzione centrale, e cioè, appunto, la figura di Dumbo, e particolarmente il suo volo, imprevedibile, estatico, che scongiura a volte una caduta a precipizio.
A volte l'intrigo del racconto è rocambolesco, o convenzionalmente spettacolare.
E tuttavia quella piccola verità racchiusa, tra le righe, nel cuore del film – l'emarginazione e la gloria di un diverso; forse la felicità e i tormenti di un artista in un mondo a lui estraneo – basta a fare di Dumbo un film da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 6 aprile 2019
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