La scomparsa del maestro partigiano Ugo Cerrato, amicissimo dello scrittore Beppe Fenoglio e nell’ultima parte della sua vita infaticabile testimone della grandezza letteraria che scaturisce dalle pagine del cantore della “malora” piemontese, rappresenta per la cultura italiana una perdita davvero rilevante. Non solo per Associazioni come l’Arvangia, a cui era legatissimo e per istituzioni scolastiche come il Liceo Classico a cui Ugo era riconoscente per aver formato al mestiere di scrivere il grande Fenoglio, ma per migliaia di persone che lo hanno incontrato e che possono testimoniare quanto fosse appassionato e coinvolgente il suo modo di raccontare l’amico di gioventù diventato gloria letteraria del Novecento italiano. Credo che sia difficile per tante persone che hanno avuto la fortuna di stare in sua compagnia, di condividere i suoi entusiasmi, di conoscere i suoi progetti trattenere le lacrime alla notizia che non è più tra noi. A tante persone, alla Fondazione Ferrero, al Centro Studi Beppe Fenoglio, all’Arvangia, al Liceo Classico “covone”, alla Città di Alba, al Comune di San Benedetto Belbo, all’Ente Turismo e Manifestazioni, all’A.N.P.I. mancheranno le parole di fiducia che Ugo Cerrato sapeva trasmettere, gli incoraggiamenti che indirizzava a tutte le persone che si occupano di promuovere la cultura, le proposte di collaborazione, le idee, il suo amore per la vita, solare, contagioso.
Serberò di Ugo Cerrato, come me maestro elementare di stampo contadino, un ricordo indelebile e lo voglio ringraziare per le esperienze che abbiamo condiviso, le numerose occasioni in cui insieme abbiamo portato testimonianza di cultura e di tradizioni a studenti, ricercatori, studiosi, semplici curiosi, universitari della terza età, lettori, turisti in vacanza nelle Langhe. Di lui ho tracciato un profilo sulle pagine del volume La cultura nascosta. Viverla. Per raccontarla, volume pubblicato dall’editore Araba Fenice di Boves per i venti anni di arvangia culturale tra Langa, Monferrato e Roero, la cui prima edizione è quasi esaurita. Desidero rendere omaggio all’amico “maestro di vita e di passione per la cultura nelle sue espressioni più autentiche”, presentando parte di un’intervista già pubblicata dal quotidiano La Stampa di Cuneo. Affido a queste sue parole il saluto che nasce commosso e riempie di tristezza il nostro cuore.
Donato Bosca
– Maestro cosa lega la tua famiglia a Fenoglio?
Mia moglie Luciana era già una sua cara amica prima del nostro matrimonio e Beppe è stato padrino di battesimo di mio figlio Daniele. Ma l’empatia che si era creata tra noi due risale al giugno 1933 quando lo conobbi undicenne, venuto a trascorrere le vacanze estive dalla zia Giuseppina che abitava a San Benedetto Belbo e la cui casa era adiacente all’Ufficio Postale, del quale era titolare mia nonna Onorata.
– Poi c’è stata la parentesi della guerra che vi vide entrambi “resistenti”.
Durante la guerra lo vidi soltanto due volte: la prima fu la sua venuta a Mombarcaro, quando scelse volontariamente di entrare nel distaccamento garibaldino di “Biondo”, di cui io già facevo parte, e la seconda fu alla cascina della Lodola di Castino dove io accompagnai una rappresentanza di Garibaldini a un incontro con i Partigiani Autonomi di Balbo e con la delegazione inglese paracadutata in quei giorni nelle Langhe, della quale Beppe era responsabile delle comunicazioni e interprete.
– Dopo la guerra vi siete ritrovati tutti e due “albesi”.
Ad Alba ci vedevamo ogni sera, ma poteva succedere che ci incontrassimo più volte nel corso della giornata; era Beppe che ci cercava, andavamo al Bar dell’hotel Savona o in casa della signora Masera, una specie di salotto frequentato da Morra, Gallizio, Toppino, Chiodi, Agnelli e spesso don Bussi e don Rossano.
– Dopo la morte di Fenoglio, sei diventato una specie di sacerdote laico con il compito di ricordarne la vita e le opere?
Io sono contento di parlare ai giovani di Fenoglio, aiutare a diffondere la conoscenza di questo autore perché è l’unico modo che ho per sdebitarmi di quanto lui ha dato a me in crescita civile e sociale, e non ho altre possibilità per esprimere la mia gratitudine. Ho incominciato provando una grande emozione in un teatro torinese, di fronte a dieci classi di liceo desiderose di sentire la mia testimonianza. Da quel momento è diventata una sorta di seconda vita. Sono venuti a incontrarmi in Langa studenti di Pisa, Roma, Como. Ho accompagnato molte persone al Passo della Bossola, su a S. Benedetto Belbo, seguendo gli itinerari dei luoghi fenogliani. In un convegno internazionale in Scozia, di fronte a centinaia di professori inglesi, canadesi, americani arrossii perché gente che non era mai stata in Italia conosceva Fenoglio a menadito. Una volta ho dovuto far tornare indietro un pullman sulla strada che sale a Benevello, perché due ragazze tedesche, di Dusseldorf, di 24 anni, volevano sedersi sulla panchina di pietra dove si sedeva Johnny con la testa fra le mani a meditare sulla guerra.