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Gianfranco Cercone. “Le invisibili” di Louis-Julien Petit e “Cafarnao” di Nadine Labaki
23 Aprile 2019
 

Il neorealismo è una forma cinematografica adatta a esprimere un particolare genere di contenuti. Nato in Italia nel dopoguerra, il cinema neorealista voleva in primo luogo documentare una realtà impregnata di dolore e di miseria. Così nei suoi film era preponderante l'ambiente, il contesto storico, che determinava le vicende e i sentimenti dei personaggi. E quell'ambiente era descritto come in presa diretta, dando l'impressione di essere fotografato allo stato grezzo, senza artifici spettacolari, come per rendere più incisiva, più convincente la denuncia, ma anche la speranza di una rinascita, che quei film esprimevano.

Si può ritrovare un uso appropriato, intelligente, della forma del neorealismo in due film, usciti in questi giorni, che documentano per l'appunto un ambiente segnato dalla miseria, e dalle sofferenze che a volte dalla miseria discendono.

Il primo, che si intitola Le invisibili ed è diretto da Louis-Julien Petit, racconta le condizioni di vita a Parigi delle persone senza fissa dimora, e allo stesso tempo delle assistenti di un centro di accoglienza diurna a quelle persone, particolarmente alle donne, destinato.

Va detto che l'autore si sforza di conferire al racconto il tono di una commedia: e cioè, per esempio, di fare di alcune delle “barbone” delle caratterizzazioni umoristiche. Come a volte hanno un tono paradossale, umoristico, gli espedienti che si inventano le assistenti per trovare un lavoro alle loro assistite. E appartiene alla commedia il messaggio positivo che impronta tutto il racconto, che suggerisce che il riscatto sociale, l'integrazione, è sempre possibile se ci si arma di buona volontà.

Ma è un tono che in effetti risulta un po' sforzato, perché poi l'impressione più durevole che lascia il film è quella di un'umanità – affidata efficacemente, come succedeva nel cinema neorealista, ad attrici “prese dalla strada” – che affronta la disgrazia di ritrovarsi senza una casa, con dignità, ma anche con una profonda, immedicabile amarezza, che non bastano a mitigare le cure prodigate dalle assistenti sociali, e la buona qualità dei servizi che lo Stato francese, a quanto apprendiamo, offre loro.

L'ambiente descritto dal secondo film – che si intitola Cafarnao ed è diretto dalla regista libanese Nadine Labaki (è il film che ha vinto il Premio della Giuria al festival di Cannes) – è un quartiere popolare di Beirut. I suoi abitanti più poveri, accampati in piccoli appartamenti troppo angusti per le loro famiglie numerose, a volte privi di documenti perché non hanno nemmeno i soldi necessari a procurarseli, faticano ad assicurare la cura necessaria ai loro figli più piccoli. È almeno il caso del giovanissimo protagonista di Cafarnao, che abbandona la famiglia per protesta contro la decisione di far sposare la sorellina minorenne a un negoziante che si era invaghito di lei e che garantiva il suo mantenimento.

Il ragazzino trova rifugio in uno scantinato dove vive una ragazza immigrata clandestinamente dall'Etiopia, assiste il suo figlioletto, ma si ritrova di nuovo solo e abbandonato quando la ragazza finisce arrestata. Sopravvive con poveri espedienti, è vittima delle violenze dei ragazzi più grandi, delle attenzioni di un pedofilo, dei traffici turpi che riguardano i bambini abbandonati.

Finché prende l'iniziativa di denunciare i genitori in tribunale per accusarli di averlo messo al mondo senza avere poi la possibilità di occuparsi davvero di lui.

Il film della Labaki è ridondante e, in qualche momento, melodrammatico. Ma la figura del ragazzo, interpretato da un profugo dalla Siria, che è un minuscolo guerriero, umiliato e offeso ma indomito, è incisa con vigore e ricorda le figure di bambini ricorrenti nel cinema neorealista.

E l'ambiente, brulicante di gente, di botteghe, di bancarelle, di stradine anguste, di interni saturi di persone, che siano appartamenti o che siano prigioni, dà proprio l'impressione di un labirinto senza uscita, di un inferno che inghiotte irresistibilmente.

Due film interessanti.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 20 aprile 2019
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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