Cinquantacinque anni sono passati dalla prima rappresentazione della composizione In C dell’autore Terry Riley, il brano nel 2015 è stato ripreso e reinciso dal gruppo Africa Express. La versione di 41 minuti di In C vede un cast di musicisti provenienti dal Mali, più gli abituali componenti di Africa Express, Damon Albarn, Brian Eno e Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs.
La registrazione è stata co-prodotta e mixata da Andi Toma di Mouse on Mars. Riley si è detto “sopraffatto e deliziato” dal progetto. «Non ero abbastanza preparato per un tale viaggio incredibile, sentire l’anima dell’Africa in volo gioioso su quei 53 patterns di In C», ha detto. «Questo ensemble alimenta il pezzo con antichi fili di saggezza musicale e di umanità che indica a me che questo lavoro è una nave pronta per ricevere e plasmare i sentimenti spontanei ed i colori apportati da ogni musicista. Non potevo chiedere un dono più grande per il 50° compleanno di questa mia composizione».
In C è diventata una delle composizioni minimaliste più conosciute e spesso rappresentate, e le ragioni di questo successo sembrano abbastanza chiare: la struttura eterofonica del brano è armonicamente insolita, ma uniformemente consonante, e il ritmo insistente del pezzo e la ripetitività della melodia, per quanto frammentaria, gli danno un senso di movimento inarrestabile. È accattivante e gradevole, e molta musica che sfida le tradizioni compositive non lo è.
La struttura di base di In C è semplice: qualcuno suona un semplice impulso sulla nota C, di solito su un pianoforte o su una marimba, e gli altri artisti, il cui numero e strumentazione Riley non specificano, hanno 53 frasi melodiche tra cui scegliere. I musicisti selezionano le frasi che vogliono suonare e decidono quanto a lungo suonarle. L’effetto è che le frasi si sovrappongono in modi imprevedibili, creando cambiamenti di armonia, poliritmi in evoluzione, cambiamenti timbrici e la sensazione che nulla è costante, anche se la stessa nota si ripete insistentemente sotto l’intera esecuzione allo stesso identico tempo.
Ci sono dozzine di registrazioni di In C, a partire da quelle di Riley del 1968. Alcune sono cinetiche ed eccitanti, altre più pacate e meno esuberanti, ma il pezzo è così drammaticamente diverso da versione in versione da non invecchiare mai.
Nella versione che propongo le percussioni non-tonali incluse nell’ensemble stratificano una sottile ma precisa vibrazione danzante sotto la solita atmosfera di trance del pezzo. Il flauto di Diallo, in particolare, è così diverso da ogni altro suono della registrazione che distingue e sposta brevemente l’enfasi sulla melodia, mentre le tre voci conferiscono una qualità eterea. Il dolce tono della kora, delle kalimbas e dei balafons, nel frattempo, producono uno strano effetto nel corso del pezzo; gli danno una strana, fredda oscurità che di solito non si ascolta in In C. Questi passaggi conferiscono una sensazione simile a una suite in cui il pezzo è spesso strutturato come un crescendo gigante seguito da un lungo diminuendo. La decisione più audace qui arriva appena oltre il punto di mezzo, quando l’ensemble diventa quasi silenzioso, lasciando solo chitarre e koras che suonano le frasi melodiche più lente in uno straniante tipo di canone che prepara un intermezzo vocale, prima che l’ensemble intero riprenda nuovamente con un’insistenza ancora più marcatamente ritmica di prima.
(Liberamente tratto da un articolo di Joe Tangari su Pitchfork)