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Roma oggi: Città chiusa all’arte di strada – 1 
A cura di Maria Lanciotti
Dario Fo in Campidoglio per la Delibera del 2000
Dario Fo in Campidoglio per la Delibera del 2000 
07 Marzo 2019
 

Con la delibera locale del I Municipio, entrata in vigore dall'agosto 2018, si proibisce qualsiasi tipo di emissione sonora in molte più belle piazze di Roma, a qualsiasi ora e in qualsiasi modalità.

Daniele Mutino, musicista e cantastorie itinerante, partendo dalla sua personale esperienza ripercorre quasi trent’anni di lotte per la legittimazione dell’arte di strada ‘a cappello’ nella Capitale

 

 

Dai primi anni novanta ad oggi gli artisti di strada romani hanno fatto tante battaglie per la legittimazione dell’arte di strada a cappello, dando forma in successione a diverse realtà di movimento, come StradArte, l’A.M.I. (Associazione Musicisti Itineranti), Arte nel tempo (Associazione dei musicisti di Piazza Navona), il primo e il secondo CO.R.A.S. (Coordinamento Romano Arte di Strada), il C.R.A.S.C. (Comitato Romano Artisti di Strada a Cappello), e il movimento Strada libera tutti.

Si tratta di una storia che ha le sue radici in pieno ventennio fascista, negli anni trenta, quando è stato legiferato il T.U.L.P.S. (Testo Unico di Legge sulla Pubblica Sicurezza), tuttora in vigore, nel quale, all’articolo 121, si stabiliscono i documenti obbligatori per potere esercitare tutta una serie di mestieri ambulanti; tra i mestieri elencati, insieme ai venditori ambulanti di ogni sorta, ai cenciaioli, ai facchini, ai barcaioli, ai lustrascarpe, sono indicati anche gli artisti di strada, nelle categorie di “cantante”, “suonatore” e “saltimbanco”. Tra i documenti richiesti è compresa l’iscrizione ad un albo specifico, con il pagamento di una tassa annuale, una sorta di patente, obbligatoria ma che non garantisce in alcun modo un diritto all’esercizio.

Di fatto questo testo di legge, mentre rendeva possibili gli altri mestieri, rendeva impraticabile l’arte di strada in quanto vincolava ogni singolo spettacolo al possesso di una serie di permessi impossibili da ottenere nei tempi indicati.

Ovviamente, com’è costume italiano, l’arte di strada veniva comunque praticata e tutto si riduceva all’arbitrio della guardia di turno, che nella maggior parte dei casi chiudeva un occhio e si limitava a controllare la validità della patente di suonatore ambulante, sorvolando sugli altri documenti.

In seguito, nel 1993, fummo contattati dall’Associazione Terzo Studio, di Alessandro Gigli e Alberto Masoni, che in Toscana si stava muovendo per ottenere un riconoscimento istituzionale dell’arte di strada, e che, proprio per questo, nel centro storico di Certaldo, aveva in quegli anni iniziato ad organizzare ogni anno un grande festival, dal nome “Mercantia – Festival del Teatro da Quattro Soldi”, che coinvolgeva tutte le realtà di teatro di strada italiane, e comprendeva sia spettacoli di strada sia bancarelle di artigianato, oltre che la pubblicazione a fine manifestazione di un catalogo con foto e scheda di ogni artista intervenuto.

Di fatto l’arte di strada rifiorì grazie alla loro attività di promozione e valorizzazione, almeno per alcuni anni:

- il catalogo di “Mercantia” da questo momento in poi diventerà lo strumento principale per lavorare a contratto con il teatro di strada in Italia;

-sull’esempio di “Mercantia”, i festival si moltiplicarono, con cachet abbastanza alti, e tutto questo portò anche a noi una buona quantità di lavoro. In questi festival, poi, si aveva l’occasione di conoscere altri artisti di strada, con cui si parlava sempre della situazione critica dell’arte a cappello; si fecero anche delle vere e proprie assemblee in cui si abbozzò l’idea di costituire un movimento nazionale per la rivendicazione al diritto di fare liberamente spettacoli in strada.

La difficoltà di mettersi d’accordo e allo stesso tempo di vedersi con continuità non fece mai veramente decollare questa idea: l’unica cosa che di concreto si riuscì a realizzare fu, dopo diversi anni, la fondazione della F.N.A.S. (Federazione Nazionale Artisti di Strada), che però inizialmente faticava ad essere attiva, data la latitanza dei suoi soci, finché, modificando il significato dell’acronimo, le si cambiò nome in Federazione Nazionale Arte di Strada, decidendo di aprirla anche agli organizzatori di festival che, da buoni manager quali erano, seppero subito farla fruttare, facendola diventare in poco tempo un organismo funzionale e potente, in grado di ricevere e gestire imponenti finanziamenti pubblici e di pubblicare una rivista a colori molto bella (dal titolo Kermesse) totalmente finanziata dallo Stato. Il problema è che quest’organismo, al di là delle belle parole sempre profuse, in quegli anni dimostra di essere indirizzato a tutelare solo gli interessi degli organizzatori dei festival che lo governano e non quelli dell’arte di strada a cappello. Tra i successi che vanno comunque riconosciuti alla F.N.A.S. c’è quello di aver compiuto le giuste pressioni politiche per far finalmente abrogare tutti i riferimenti all'arte di strada contenuti nel famigerato articolo 121, senza però arrivare alla formulazione di una legge che lo sostituisse, ma lasciando un vuoto legislativo che affidava ai Comuni il compito di colmare questo vuoto con specifiche legiferazioni a livello locale.

È stato proprio a livello locale, ossia a Roma, e al di fuori del raggio d'azione della F.N.A.S., che ha preso forma compiuta il primo vero e proprio movimento organizzato di artisti di strada in grado di ottenere importanti e storici riscontri; posso dire con orgoglio, come altri colleghi, di averne fatto parte fin dall’inizio, e di averne promosso la nascita attraverso la collaborazione con Claudio Montuori.

A partire dal 1996 cominciai a fare spettacolo quasi quotidianamente nel centro storico di Roma con il Duo Filamistrocca. Non sempre, ma piuttosto frequentemente, i nostri spettacoli venivano interrotti dai vigili, e, mentre noi ce ne andavamo in silenzio per evitare guai peggiori, la gente puntualmente protestava, anche con veemenza, tanto che una volta al Pantheon fu addirittura arrestato un ragazzo del pubblico. La gente era tutta con noi e i vigili erano sempre più in difficoltà, e più erano in difficoltà e più s’irrigidivano e facevano la voce grossa mettendo multe e anche, in alcuni casi, sequestrando gli strumenti. Le multe che venivano fatte agli artisti ammontavano a ben due milioni di lire: una cifra assurda che nessun artista poteva pagare e, non essendoci a quel tempo Equitalia, alla fine nessuno pagava. Il fatto è che era proprio la legislazione ad essere sbagliata e penalizzava in fondo tutti: gli artisti, i vigili e soprattutto la gente. Era evidente che c’erano le condizioni adatte per cambiare le cose.

Ad un certo momento con Claudio venne naturale contrattaccare, e demmo inizio quindi ad un periodo di battaglia per la liberalizzazione dell’arte di strada: ogni nostro spettacolo divenne un piccolo comizio.

Scrivemmo con buona calligrafia un breve appello per la “liberalizzazione della strada”, anche un po’ scherzoso, che mettevamo per terra in bella mostra durante gli spettacoli, vicino al cappello, e alla fine di ogni brano musicale spiegavamo la situazione alla gente del cerchio, cercando un consenso che arrivava senza molta difficoltà.

Claudio iniziò a portarsi dietro le sue multe di due milioni di lire ognuna, mostrandole ogni volta con feroce orgoglio agli spettatori increduli, insieme alla propria iscrizione al registro dei suonatori ambulanti (art. 121) regolarmente rinnovata: ne veniva fuori un intervento quasi teatrale che si ripeteva sempre, e senza bisogno di molte spiegazioni rendeva evidente a tutti l’assurdità di una legislazione che pretendeva dagli artisti di fare un patentino, per il quale si doveva anche pagare dei soldi, senza che questo poi garantisse in alcun modo la possibilità di lavorare e di non essere esposti a multe così sproporzionate alle possibilità economiche di un artista di strada.

In questo contesto, quando un vigile ci interrompeva finiva in pratica per fare il nostro gioco, visto che, all’atto dell’interruzione, la gente si arrabbiava e il nostro cappello subito si riempiva.

Raccogliendo e sviluppando l’eredità di Stradarte, Claudio fondò un’associazione di buskers che, più che alle generiche rivendicazioni espressive e alla promozione di rassegne di spettacoli, puntava senza mezzi termini ad ottenere il riconoscimento istituzionale del diritto a praticare l’arte di strada, non solo come basilare diritto all'espressione, ma soprattutto come mestiere. L’associazione fu chiamata non a caso A.M.I. (Associazione Musicisti Itineranti) per sottolineare che a muoverla nel profondo erano l’amore per il mestiere che facevamo e il valore dell’amicizia tra tutti gli esseri umani. Claudio Montuori aveva un grande carisma e molta capacità di coinvolgimento, e questo fece sì che all’A.M.I. aderirono, oltre a me, e a molti tra coloro che già avevano vissuto l’esperienza di Stradarte, anche quasi tutti i buskers romani. A non farsi coinvolgere dall’A.M.I. furono solo quei gruppi di buskers romani che erano legati ad un preciso luogo dove lavoravano praticamente sempre, e non erano quindi interessati ad un discorso generale sulla musica itinerante: ad esempio i musicisti dell’associazione Arte nel Tempo legata a Piazza Navona. Ma a lasciarsi coinvolgere fummo veramente in tanti, musicisti di tante diverse nazionalità, italiani, argentini, africani, marocchini, americani, svedesi, e c’erano anche fotografi e pittori che collaboravano gratuitamente con noi. Così, dopo pochissime riunioni, iniziammo ad organizzare manifestazioni-spettacolo, sia per promuovere la bellezza dell’arte di strada sia per rivendicare il diritto a praticarla come mestiere nella nostra città, e allestimmo anche una mostra fotografica sull’arte di strada che esponevamo in ogni occasione adatta; a tutto questo associavamo sempre una raccolta di firme per la nostra causa. L’iniziativa più grande fu realizzata alla borgata del Trullo, dove la mattina i musicisti si disseminarono nel quartiere, suonando nei cortili delle case popolari, con la gente che dalle finestre faceva piovere i biglietti da cinquemila lire attaccati alle mollette del bucato, e la sera si fece un grande spettacolo collettivo, tutti assieme, nel teatro parrocchiale San Raffaele gremito di gente. Organizzammo manifestazioni-spettacolo piuttosto grandi anche alla stazione Termini, a Piazza Vittorio, a Grosseto, e ai Fori Imperiali con Legambiente. Stampammo quindi un calendario autoprodotto, che vendevamo per finanziare l’A.M.I.: in esso c’erano le foto della mostra e diversi testi sia informativi sia poetici sull’arte di strada e sulle nostre rivendicazioni.

Tutto questo lavoro ci portò ad una telefonata con cui ci contattò un consigliere comunale: il suo nome era Pino Galeota. Questi ci propose di lavorare insieme per fare una delibera comunale che scavalcasse l’articolo 121 e consentisse di praticare l’arte di strada nella città di Roma, al contempo disciplinandola attraverso un regolamento che andava scritto soprattutto da noi. Il lavoro di preparazione della delibera durò ben due anni, e, dal momento che dovevano essere raccolte le esigenze di tutte le categorie del settore (non solo buskers e teatranti, ma anche burattinai, circensi, madonnari, eccetera), coinvolgemmo tutte le associazioni e le realtà dell’arte di strada nel territorio, riunite in un coordinamento cittadino che chiamammo non a caso CO.R.A.S. (Coordinamento Romano Artisti di Strada), per sottolineare che a muoverlo nel profondo non era un semplice interesse, ma il nostro cuore… e che noi eravamo… artisti de Coras!

Un gran bel giorno pieno di sole, il 3 aprile del 2000, il Consiglio comunale di Roma votò la delibera n. 68 che consentiva e regolamentava l’arte di strada nel territorio della Capitale, il cui regolamento era stato scritto in gran parte da noi, attraverso la lunga trattativa con il consigliere Pino Galeota, in cui, oltre a Claudio, ebbe un ruolo fondamentale Serena Galella, una bravissima artista di strada che era dotata di un’ottima capacità di organizzazione mentale, e che ebbe un ruolo di cuscinetto comunicativo, di mediazione, tra le modalità impulsive che caratterizzavano gli artisti di strada ed il linguaggio politico.

Si trattava della prima delibera in questo senso di una grande città italiana (e della seconda in assoluto in Italia, dopo quella di un piccolo comune emiliano, San Giovanni in Persiceto). Un successo storico, di cui noi del CO.R.A.S. eravamo assolutamente orgogliosi, tanto che per presentarla organizzammo una conferenza stampa dentro il Campidoglio, alla quale avemmo l’onore di far partecipare anche Dario Fo, il più famoso giullare del mondo, appena insignito del Premio Nobel, che fece un intervento sul valore dell’arte di strada per la storia del teatro. Seguì ovviamente una grande festa sulla piazza del Campidoglio, in cui i vari artisti di strada si alternarono, fino a che la sera fu fatto una sorta di rito finale in cui, mentre suonavamo con grande energia, Attilio, il miglior fachiro d’Occidente, romano di Primavalle, con una delle sue spaventose fiammate (in cui potevi vedervi dentro i draghi) dette fuoco ad un grande e finto cartello stradale con il divieto di suonare, la classica tromba nel cerchio rosso con barra trasversale, su fondo bianco.

Si trattava, ripeto, della prima delibera sull’arte di strada realizzata in una grande città, che anticipava di alcuni mesi l'abrogazione dei riferimenti all’arte di strada dal famigerato articolo 121, colmandone preventivamente il conseguente vuoto legislativo. Sicuramente per la storia dell’arte di strada italiana è stato un evento fondamentale, ma anche a livello internazionale si è trattato di qualcosa di eccezionale, il cui valore, ancora oggi, non è stato veramente compreso. Per la prima volta in una grande città, una capitale, sospinti dalle proteste e dalle firme della gente comune, gli amministratori politici davano agli artisti di strada operanti nel territorio il compito di redigere un proprio regolamento. Questo avrebbe dovuto essere un modello, un precedente da seguire ovunque.

Alcuni anni prima, il regista Vladimir Tcherkoff della TSI (Televisione della Svizzera Italiana), mentre stava girando un film-documentario sulla preparazione di Roma al Giubileo del 2000, si ritrovò ai Fori Imperiali proprio nel momento in cui i vigili interrompevano uno spettacolo del Duo Filamistrocca; all’interruzione seguirono le solite proteste degli spettatori, che furono però in quell’occasione particolarmente lunghe e vibrate, tanto che dovette accorrere il capo dei vigili di zona, con cui alcune persone ebbero un confronto d’idee molto duro, anche perché, alle domande che gli fecero, costui non seppe dare risposte convincenti ma solo autoritarie, ricevendo di contro un grande applauso ironico da parte di tutti i presenti. La troupe di Tcherkoff riprese l'intera scena e la inserì tutta nel suo film, che si concludeva proprio con l’applauso sarcastico e le proteste della gente contro i vigili, sfumando alla fine, con i titoli di coda, sulla musica della mia fisarmonica e l’immagine dell’acqua del Tevere che scorreva sotto i ponti vecchi di secoli. Tcherkoff s’informò sulla nostra situazione, e, dopo l’approvazione della delibera, decise di ritornare a verificarne l’applicazione, girando un altro film-documentario interamente dedicato alla nostra questione, poi andato in onda sia in Svizzera sia in Italia con il titolo di La strada come palcoscenico. Quando, l'estate seguente, Claudio, Nello ed io andammo a lavorare in due grandi festival di buskers in Svizzera, a Bienne e a Neuchatel, gli organizzatori fecero proiettare sia La strada come palcoscenico, sia un nostro video della festa fatta al Campidoglio per l’approvazione della storica delibera, con le immagini del discorso di Dario Fo e quelle del fachiro Attilio che compiva il suo rito finale. Raccontammo anche contestualmente la nostra esperienza di lotta. Il pubblico e soprattutto gli altri artisti che partecipavano al festival, e che provenivano da vari paesi del mondo (perfino dalla Mongolia), ne furono molto colpiti. La delibera romana ebbe così una sua eco internazionale.

 

(continua)

 

 

(Tratto da Storia di un cantastorie a cura di Maria Lanciotti, II edizione aggiornata dicembre 2018 – Edizioni Controluce)


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