Tanti artisti e poeti lasciano nelle loro opere immagini di bellezza, di splendore, di speranza e di luce.
Emily Dickinson (1830-1886), statunitense, tra i maggiori lirici del XIX secolo, ha scelto, forse con maggiore incisione di altri, l’essenzialità, la parola poetica per un ineffabile e sommesso colloquio metafisico con le cose del quotidiano: il sole, le nuvole, gli uccelli, le albe e i tramonti e tanti altri soggetti che, per la loro brillantezza oggettiva, le permettono di porsi di fronte al mistero dell’esistenza con simboli capaci di raccogliere piccole, immense verità, frutto di un felice connubio tra emozioni e pensiero, sensi e intelletto.
Se io potrò impedire
a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.*
Limpidi versi di intensa spiritualità che inevitabilmente, per contrasto, richiamano la giostra delle volgarità, delle grossolanità e meschinità cui assistiamo quotidianamente.
La sensibilità è certamente un dono, un dono raro. Le persone che la possiedono, sono portatrici di un bene prezioso che non si acquisisce con lo studio, anche se lo si può affinare con l’esperienza. Oggi, però, pare che sensibilità e delicatezza siano considerate superflue e che nessuno, o pochi, si dolgano della loro progressiva scomparsa, come se il mondo potesse benissimo farne a meno.
Si ritiene che non siano qualità indispensabili. Il cittadino del terzo millennio, tutto proteso a conquistarsi il proprio spazio sociale, a ritagliarsi la propria fettina di visibilità, di successo (anche economico), di gratificazione esteriore sa bene che l’essere delicati e rispettosi non giova al proprio avanzamento sociale ed economico, anzi lo danneggia. Se si mira quasi esclusivamente alla soluzione di problemi pratici, a che cosa può servire la sensibilità e la delicatezza?
Ritengo invece che la sensibilità sia un atteggiamento di delicatezza e di profondo rispetto verso il mondo circostante, verso l’altro con cui l’io si rapporta, vedendo sempre in esso un soggetto di pari dignità e mai un semplice mezzo.
La persona dotata di sensibilità possiede una singolare ricchezza, che la mette in grado di cogliere aspetti del reale i quali sfuggono ad altri, alimentando così incessantemente la propria profonda umanità.
Non si è vissuto invano perché si sono realizzati grandi progetti, non per avere scritto libri o aver compiuto azioni pubblicamente acclamate, ma semplicemente per aver aiutato un pettirosso caduto / a rientrare nel nido… avere impedito a un cuore di spezzarsi.
Quanta semplicità nei versi di Emily Dickinson, eppure quanta difficoltà a dare loro vita!
Quanta indifferenza tra gli umani!
Prigionieri del nostro io, non vediamo né ascoltiamo le domande mute dei deboli e ignoriamo e persino disprezziamo qualsiasi forma di sensibilità e delicatezza.
Giuseppina Rando
* Da: Emily Dickinson, Tutte le poesie, n. 919, Mondadori, 1994.