Stefano Orsolini
Crudezza
Mauro Pagliai, 2019, pp. 240, €12,00
È un giovane che studia Psicologia presso l’Università di Firenze Stefano Orsolini, che in Crudezza dimostra di saper scandagliare l’animo umano e coinvolgere attraverso una struttura non scontata, intrigante. Fin dalle prime pagine del romanzo le immagini ci riportano a Bukowski, citato anche nell’esergo “La poesia sboccia quando nient’altro ci riesce”.
Siamo di fronte ad un giovane devastato da fumo, alcool e psicofarmaci, che racconta di sé. Non sappiamo che cosa gli sia successo. La sua voce si alterna a quella di una giovane donna che ha sempre avuto “una terribile paura della vita, un terrore che mi perseguitava e mi stava dietro come un’ombra”. Ed ora si sente condannata. Il passato ed il presente si intrecciano, nel ricostruire la storia.
Sono Steve e Madeline, ma questi non sono sempre stati i loro nomi. Li hanno scelti quando hanno deciso di voltare le spalle alla cattiva sorte ed al dolore, e di ricominciare a vivere, calandosi in un nuovo ruolo, dando fiducia alla bellezza del loro amore. È stata una sfida, ma sono stati determinati. I vecchi nomi appartengono ormai ad un’altra vita. È possibile dunque rendersi amica la sorte, dimenticare chi siamo stati, rinascere, solo cambiando nome?
Madeline lotta per dimenticare le immagini della madre in preda alla droga ed all’alcool, e cerca di rimuovere il ricordo di un rumore che ha segnato una svolta, “il rumore, sordo, dello sportello che si chiude, seguito dal nevrotico scricchiolare del ghiaino sotto le scarpe”, quando il padre le abbandona.
Lui, Steve, che è vissuto con genitori dal temperamento artistico ed è cresciuto come un sognatore, non riesce a cancellare l’odio verso il genere umano, dopo una perdita improvvisa e feroce. Lo indossa come un marchio della sua diversità di cui va orgoglioso, che trova sfogo solo nel mestiere di scrittore. L’incontro tra due diverse solitudini e disperazioni diventa terapeutico ed apre alla possibilità di rimozione.
Tuttavia, a negazione del comune credere che ognuno sia artifex sui, Orsolini sottolinea invece drammaticamente l’incidenza del destino sulla strada di questi due giovani che, quando riescono a conoscere la bellezza della vita normale, se la vedono presto sfuggire dalla mani. Tornano ad essere vittime, contro la loro volontà, come se una bestia feroce non li avesse mai persi d’occhio, ma stesse ad aspettarli. Naufraga ogni speranza ed intorno ci sono il vuoto e il buio.
Orsolini mi ha fatto venire in mente il pessimismo di Verga, con quel negare ogni possibilità di riscatto sociale, quel dover rimanere attaccati al proprio carro, al proprio scoglio, pena la caduta e la condanna della sorte che riporta al punto di partenza o ancora più indietro. Ma qui il pessimismo si fa più duro. La disperazione diventa assoluta e nessuno si salva.
Stupisce come uno scrittore così giovane possa riuscire a creare situazioni così crude e a scendere così a fondo nelle vie tortuose dell’animo umano. Capacità che si è soliti attribuire a chi ha maggiore conoscenza ed esperienza di vita. Ma forse più che stupire preoccupa: se la letteratura è sempre stata specchio dei tempi, il romanzo li fotografa molto bene, ma la visione della vita che ne emerge nega la possibilità di essere felici.
Marisa Cecchetti