Possono darsi al cinema due forme di falsificazione della realtà, opposte ma altrettanto mistificatorie.
La prima è l'idealizzazione della realtà, per la quale i tratti negativi di singoli personaggi, o di gruppi, o di intere classi sociali, sono minimizzati o rimossi.
La seconda, che può essere più difficile da riconoscere, perché pretende di esprimere impietosamente la cruda verità delle cose, è quella che esalta i tratti negativi dei personaggi, fino a negare loro ogni potenzialità positiva, come se fossero insomma costitutivamente, essenzialmente, malvagi, perversi o magari imbecilli.
Di questo secondo atteggiamento, o di questa maniera narrativa, è, a mio parere, un esempio, un film di genere storico, intitolato La favorita, di produzione inglese, diretto da un regista greco di grande successo internazionale, Yorgos Lanthimos.
Il racconto si svolge nel Settecento, quasi interamente all'interno del castello in cui vive la regina d'Inghilterra, Anna, l'ultima della dinastia degli Stuart; ridotta dalle malattie e dalle trascorse tragedie familiari, in uno stato psichico che è tra l'infantilismo e la demenza: al punto da perseguire un'annosa e dispendiosissima guerra contro i Francesi, soltanto per compiacere una dama che è la sua amante, la quale è moglie di un generale e lucra sulle spese di guerra.
Si oppone alla guerra un membro della Camera dei Lord, ma soltanto perché la guerra è finanziata aumentando le tasse sulle proprietà fondiarie dei nobili, dei quali lui è appunto un esponente. Malgrado la sua strenua opposizione sarà nominato dalla regina Capo del Governo, quando la dama favorita cadrà in disgrazia presso la regina, e sarà soppiantata da un'altra dama, che avrà usato la sua bellezza, il suo corpo, insieme alle più sottili forme di adulazione, per sedurre la sovrana.
Insomma: La favorita racconta di un intrigo di corte: una corte in cui predominano la lussuria, la brama di potere, l'avidità di denaro; dove non c'è sentore di preoccupazione per le sorti dell'Inghilterra, di altruismo nei rapporti personali, e men che mai di amore (non a caso lo stupro sembra divenuto prassi corrente, che anche nelle vittime non provoca più nemmeno stupore).
Ora, una descrizione negativa così uniforme, è allo stesso tempo semplicistica. E i personaggi sono ridotti a meccanismi elementari, univoci nelle loro motivazioni, senza profondità, come, per così dire, quelli di un fumetto o di un romanzo d'appendice.
La raffinatezza del film – o almeno, la ricerca, forse la pretesa di raffinatezza – si trasferisce dal racconto alle immagini: per esempio in quegli ambienti di corte deformati dall'obiettivo, così da sembrare delle capsule, cosicché, anche se ampi e lussuosi, suggeriscono un senso di asfissia; o in certi saloni divorati dall'ombra, rischiarati soltanto da qualche sparuta candela.
Ma il riscatto artistico, parziale, del film, lo si deve alla recitazione, di qualità molto alta. Gli attori sono tutti eccellenti. A titolo di esempio, cito Emma Stone, nel ruolo della favorita vincente, che dà al suo personaggio, perfido come tutti gli altri, una nota di malinconia che lo umanizza: come se si rassegnasse soltanto a giocare una partita di potere, adeguandosi di malavoglia ai tristi costumi dell'alta società.
La favorita ha vinto il Gran Premio della Giuria all'ultimo Festival di Venezia. È candidato a 10 premi Oscar, tra cui quello per il Miglior Film.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 2 febbraio 2019
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