Firenze – Torna in auge la riforma degli orari di apertura degli esercizi commerciali, cioè la limitazione. Ed è significativo che ciò avvenga proprio quando la Banca d’Italia ci fa sapere che il nostro Paese è in recessione – in politica ed economia contano anche gli aspetti temporali delle decisioni. La proposta è di tenere chiusi i negozi per metà delle domeniche e in dodici festività nazionali, con deroghe di quattro giorni decise dalle specifiche regioni. Sanzioni fino a 60.000 euro per chi non vi si attiene, raddoppiate per i recidivi.
Sarà questo uno dei metodi del governo per cercare di colmare questo gap? Non ci sembra. Non solo, ma crediamo che questo potrebbe essere proprio un buon metodo per fare aumentare la recessione. Ci sembra di capire che al nostro governo non interessino gli investimenti a costo zero, visto che dai negozi aperti a discrezione dei singoli imprenditori (una sorta di atto di fiducia nei confronti dei commercianti) non si potrebbe che avere maggiore movimentazione economica: merci, consumi e posti di lavoro. Non solo. Ci sarebbero anche le ricadute su tutto il sistema di mobilità e la salubrità delle città: quando la mobilità è diluita nei giorni e negli orari, si impediscono le follie del traffico e dell’inquinamento (atmosferico, tempo, rumore, economico, etc): lo spostamento di persone e merci nello stesso tempo è una delle cause del degrado ambientale ed economico dei nostri contesti urbani.
Ma tutto questo sembra che non venga compreso. Con l’aggravante che le risposte che cerchiamo nelle motivazioni per la limitazione, sono poco comprensibili se non, per quanto riguarda l’aspetto lavorativo, legate ad un modo di concepire e organizzare il lavoro che è estraneo al nostro secolo e al nostro mercato. Un solo esempio: in era di affermazione crescente delle vendite online, limitare gli orari dei negozi non fa altro che rendere meno appetibili i negozi fisici.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc