È ininterrottamente da 40 anni che gli afgani vivono in una situazione di conflitto, l’ultima guerra dura da 16 anni e ha causato almeno 150.000 vittime soprattutto tra i civili. Ecco perché la decisione di un eventuale ritiro italiano non può discendere dalla dichiarazione estemporanea ed unilaterale di un Ministro senza che sia neppure avviato l’imprescindibile dibattito parlamentare.
I recenti negoziati tenutisi a Doha, in Qatar, tra emissari degli Stati Uniti e dei Talebani sembrano aver raggiunto un’intesa di principio sulla pacificazione e la riconciliazione nazionale. Secondo quanto riportato da Zalmay Khalilzad, l’inviato della Casa Bianca, “i Talebani si impegnerebbero ad impedire che l’Afghanistan diventi una piattaforma per gruppi terroristici internazionali come l’ISIS o Al Qaeda” ed in cambio gli americani ritirerebbero le truppe dal Paese.
Ci si domanda, legittimamente, quale ruolo vogliano giocare l’Italia – terzo contingente militare in Afghanistan – e gli altri stati membri dell’Unione Europea presenti nella regione per facilitare e dare un contributo ai negoziati di pace. Chiediamo quindi che il nostro Governo ed il resto della comunità internazionale si attivino immediatamente per prendere parte ai colloqui; che incontrino i rappresentati dei Talebani titolari dei dicasteri di sanità, giustizia ed istruzione nei territori sotto il loro controllo; che vengano discusse le questioni afferenti al “fattore oppio”, alla sua legalizzazione anche a fini terapeutici ed al contrasto delle “narco-mafie”; e che venga promossa l’ipotesi federalista – tra hazara, tagichi, uzbeki e pasthun – affinché si possano gettare le fondamenta per un dialogo tra governo afghano e Talebani, dialogo sinora rifiutato. Ci appelliamo pubblicamente al Governo italiano attraverso due interrogazioni parlamentari a prima firma Magi affinché il ritiro non diventi una ritirata: convertiamo i costi della presenza italiana in Afghanistan – con la gradualità che i progressi di pace consentiranno – in interventi per lo sviluppo sociale ed economico dei cittadini afgani riguardanti in particolare l’affermazione dei diritti delle donne a partire da quello alla salute riproduttiva, un impegno in piena linea con quanto previsto dall’Agenda 2030 delle Nazioni unite per lo sviluppo sostenibile.
(da www.radicali.it, 01/02/2019)