“Un malore attivo”, fu scritto infine.
Ti hanno ucciso infinite volte, Pino,
nei giorni dopo la morte: con l'infamia,
con l'ignominia, con la menzogna,
con il mercimonio delle parole,
con l'inganno alla pubblica opinione.
Tenebrosa la notte, oscure le trame della bomba;
duro e nebbioso l'asfalto
che ti accolse precipitato innocente;
rosso il sangue dalla testa spaccata,
rosso come quello dei morti
di Piazza Fontana: martiri, loro e tu,
la diciottesima vittima.
La tua anarchia era non violenza,
un luogo in cui i poveri
non dovevano più esistere,
un luogo in cui l'etica
si sposava con la giustizia,
un luogo in cui l'uomo nuovo
non sopraffaceva quello vecchio,
un luogo in cui i codici antichi
convivevano con il progresso.
Era fra il 15 e il 16 dicembre 1969
quando volasti da una finestra
della Questura di via Fatebenefratelli,
nella metropoli luminosa e addormentata,
angelo le cui ali quella volta non si spiegarono
come se il corpo valesse più di idee e ideali.
“Suicidio”, subito sostennero:
le bugie del potere sono buie,
infanganti, meschine, volgari.
Amavi le poesie di Spoon River
– “...il giorno che gli anarchici furono impiccati a Chicago...” –
che leggevi con Licia
e con quelle parole di denuncia,
nostalgia e amore fosti seppellito.
Altre bombe vennero, altre stragi
e omertà in altre piazze,
treni, stazioni e aerei,
vili pistolettate a creare orfani
e morti innocenti ancora,
il seme dell'odio e della vendetta
a germogliare, il contrario
della tua terra e del tuo cielo,
Pino dalle ali luminose.
Alberto Figliolia