Ho sempre insistito sulle differenze sostanziali tra l’idea liberale, esaltata da Croce ed Einaudi, che ha generato il “miracolo economico degli anni ‘60”, e la prassi “liberista” che vanta, ma solo a livello semantico, un falso radicamento “liberale”.
Secondo le nuove teorie degli economisti il «neoliberismo» si distinguerebbe dal capitalismo «liberale» di ieri per il fatto che, mentre rivendica, oggi come ieri, la funzione dello Stato come «capitalista collettivo» al servizio dell'economia nazionale, ripudia lo stato interventista nell'economia privata. Ciò ha come primo risultato lo smantellamento dello stato sociale e la svendita dei servizi pubblici alle imprese private con lo scopo di trasformare quelli che erano considerati costi sociali in occasione di sfruttamento e realizzazione di profitti con relativo aumento dei costi a danno delle fasce più deboli.
La privatizzazione neo-liberista non guarda in faccia nessuno: i servizi fondamentali, i trasporti, l'istruzione, la salute l'energia e le telecomunicazioni, tutto ciò che fino a poco tempo fa era considerato, pur se demagogicamente, bene collettivo, viene sottomesso alla logica del mercato.
Negli Usa, capofila del capitalismo liberista, da tempo il denaro pubblico, in percentuale sempre più consistente, serve per consolidare la conquistata fama di «potenza globale» decisa a sostenere i propri interessi anche con la forza militare. Il cuore pulsante della superpotenza statunitense è il complesso militare-industriale; e ciò garantisce la sua affidabilità agli occhi dei grandi investitori esteri, i quali continuano a finanziare un debito pubblico ormai superiore a 20.000 miliardi di dollari, oltre il doppio del PIL Usa, realtà insostenibile per qualsiasi altra nazione occidentale capitalistica dell’UE.
Nelle nazioni che compongono l’attuale Unione Europea accade il contrario, in quanto vige un rigido controllo centralizzato sul debito pubblico, cosa che ha garantito 70 anni di pace dopo due guerre mondiali volute entrambe dalla Germania (con Guglielmo II la prima e con Hitler la seconda), essendo venuta meno la spinta concorrenziale tra le nazioni, sostituita da una ipotesi, ancora da consolidare, di un equilibrio tra le nazioni attraverso una mutualità solidale.
È evidente, al contrario, che l'America ha una vitale necessità della guerra, soprattutto in periodi di crisi e di eccesso di produttività in rapporto a un mercato interno e internazionale ridottosi per effetto di una crisi finanziaria globale che ha, attualmente, colpito anche le classi medie, come l'attuale. Inoltre per accrescere la propria forza militare inietta dosi ancor più massicce di denaro pubblico nelle industrie belliche private: la Lockheed Martin ha ricevuto dal Pentagono oltre 200 miliardi di dollari per costruire 3.000 caccia Joint Strike.
C’è ancora molto da lavorare nell’UE per raggiungere il maggior equilibrio economico possibile, allontanando lo spettro del mai sopito pangermanesimo alimentato dai governi della Merkel.
È, quasi, una terza guerra mondiale quella scatenata dalle banche tedesche sostenute da una politica liberista interna alla Germania, in antitesi con l’esigenza generalizzata di una politica liberale e solidale che dovrebbe tenere legate insieme tutte le nazioni che compogono l’UE.
Ma così, ancora, non è, in quanto l’unità dell’Europa è limitata alla liberalizzazione dei commerci e all’unità monetaria, ma con la minacciosa presenza di uno spread monopolizzato dalla stessa Germania a proprio ed esclusivo interesse.
Facciamo il caso specifico dell’Italia.
Gran parte delle banche tedesche sono in mani pubbliche, tramite tali banche la Germania investe pesantemente nei nostri btp, lucrando sulle variazioni dello spread, dalle banche stesse provocato; basta fermare la voragine degli acquisti di btp e lo spread si innalza, alimentando gli interessi sugli investimenti. Praticamente si tratta di un esercizio abusivo di controllo diretto sulla nostra politica interna, che vede il montante degli interessi passivi cambiare da un giorno all’altro, alimentando guadagni parassitari da parte delle banche tedesche.
Ma Berlino opera al contrario con i propri titoli, investendo i guadagni ricavati dai titoli italiani su titoli tedeschi, mantenendo bassi i tassi di interesse.
Non è ancora una guerra dichiarata e ufficialmente aperta, ma è certamente una guerriglia di posizione, dove le forze italiane non sanno trovare compattezza, preferendo l’esportazione della liquidità all’estero in isole fiscali, alla difesa sostenuta da una folle politica fiscale che, con i governi liberisti, ha sostenuto la finanza creativa scoraggiando investimenti produttivi attraverso condoni, sanatorie e scudi fiscali che hanno fornito di denaro fresco, e senza pagare il dovuto, la mafia, la camorra, la ndrangheta e la sacra corona, nonché le varie criminalità associate nella gestione delle istituzioni, grazie alla corruzione dilagante.
Necessità “PIÙ EUROPA” per contrastare la supremazia tedesca, necessita un rinnovamento dell’attuale UE, trasformata in STATI UNITI d’EUROPA (SUE), ma non ad imitazione degli USA dove vige la forma acuta del liberismo con tutte le contraddizioni di una formale ricchezza, azzerata da un debito pubblico il doppio del PIL, mentre dilaga la povertà che oggi minaccia anche il ceto medio.
Il liberalismo può ancora partecipare, a pieno diritto, ad un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare alla pari con tutte le nazioni europee, per far rinascere lo spirito solidale.
Oggi assistiamo ad una pericolosa e rischiosa ripresa della destra liberista; pericolo aggravato dall’indispensabile alleanza con gruppi e partiti di nostalgia neo-fascista.
Le politiche sociali rimangono, così, nell’ombra del disinteresse venendo privilegiate le politiche personalistiche di potere.
Rosario Amico Roxas