A proposito dei “compiti autentici”, o di realtà (che dir si voglia), mi permetto di sollecitare una riflessione personale.
Da marxista, so bene che una “sintesi dialettica” tra teoria e prassi è la giusta risposta fornita all'antica questione che colloca i due termini in netta antitesi.
L'una non esclude l'altra, anzi: sono due valori che si compenetrano tra loro in un rapporto dialettico. Per cui anteporre l'una all'altra, o viceversa, è un errore.
Sul versante didattico, la disputa degli ultimi tempi tra quanti si ostinano ad anteporre le competenze pratiche alle conoscenze teoriche, o viceversa, si risolve in una sintesi dialettica (ossia in una relazione di interdipendenza logica e pedagogica) tra due elementi preziosi ed indispensabili alla formazione integrale, organica e dinamica della cultura e della personalità di un soggetto in evoluzione.
Il pragmatismo insito nelle competenze e nelle esperienze reali, serve a tradurre le conoscenze in capacità pratiche e operative, a mitigare l'astrattismo, quasi metafisico, racchiuso nell'idealismo di origine gentiliana che impregna la nostra tradizione scolastica. Per contro, la tendenza anti-idealista della “didattica delle competenze”, è il frutto marcio di una esacerbazione, a livello ideologico, della corrente di pensiero che avvalora il primato delle competenze pragmatiche ed empiriche sulle cognizioni teoriche.
Alla stessa stregua, è da scongiurare il rischio, speculare, di esaltare la presunta “supremazia” della teoria sulla prassi.
Ripeto: sono entrambi ingredienti di una “sintesi dialettica”, che serve alla crescita più equilibrata della personalità umana.
Il problema non è tanto di format, bensì di forma mentis, vale a dire che la questione non è una serie di crocette da inserire, in più o in meno, quanto l'idea o la visione di scuola, di cultura e società, che si ripara dietro cumuli di scartoffie e di griglie, perlopiù aride e vuote, in cui gli alunni in carne ed ossa sono solo cifre.
Il tema spinoso, che in realtà dovrebbe essere posto al centro della discussione, è quello della libertà di insegnamento, un valore che va a farsi benedire con tutta la muffa burocratica calata “dall'alto” e non condivisa “dal basso”, essendo incassata tacitamente e supinamente dalla massa del corpo docente, o quantomeno dalla stragrande maggioranza delle scuole.
Ritengo sia sempre proficuo rivendicare e rispolverare il principio stabilito dall'art. 33 della Costituzione: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Giusto per la cronaca, conviene rinfrescare la memoria dei funzionari che si mostrano fin troppo “smemorati” e che orbitano attorno alle “alte sfere” del Miur.
Lucio Garofalo