Assolutamente imperdibile, la mostra “Milano e il cinema”, che si è aperta l'8 novembre a Palazzo Morando. Per gli amanti del cinema, ovviamente. Ma anche per chi è appassionato della storia della città. Perché, nelle varie sale che si succedono, si possono vedere, parallelamente ai film e ai generi che hanno contraddistinto Milano, anche quello che vi è avvenuto, le trasformazioni che l'hanno portata a diventare quello che è. Dalla casetta di Italo Pacchioni nelle popolarissima fiera di Porta Genova del 1898, in una città intrisa di tensioni sociali, ai grattacieli di Porta Nuova che appaiono in Gli sdraiati del 2017.
Così come nell'ultima mostra (di grande successo) dedicata alla Mala, il curatore Stefano Galli ha deciso di seguire uno stretto ordine cronologico. Nella prima stanza, quindi, si parte da due padri fondatori del cinema meneghino, il già citato Italo Pacchioni, autore delle prime riprese in città, come la scenetta Il finto storpio al Castello o i funerali di Giuseppe Verdi. Insieme a lui, il più famoso Luca Comerio, immortalato sul tetto della copertura della stazione di Trastevere che aveva acquistato per poter girare in tutte le stagioni alla (spesso, poca) luce di Milano.
Lo schermo che rimanda Stramilano del 1929 ci accompagna nella sala dedicata agli anni Trenta. Quello di Corrado D'Errico è considerato il primo documentario d'autore sulla città e ne vuole raccontare un giorno, dall'alba (con le strade deserte e nebbiose), al mattino (con le industrie e le loro ciminiere fumanti) fino alla sera, con gli spettacoli teatrali e i locali dove si suona il jazz. Il messaggio è semplice: questa è la città più moderna d'Italia, dove si lavora ma ci si diverte anche. Nello stesso decennio, Milano è immortalata per la prima volta anche in una commedia di successo, Gli uomini che mascalzoni, con protagonista un giovanissimo Vittorio De Sica diretto da Mario Camerini. Il quale, nel 1939, sarà il regista di un altro fortunato lungometraggio, Grandi magazzini, che pur richiamando apertamente Milano fu quasi completamente girato in interni a Cinecittà, sotto il fascismo diventato l'unico luogo dove “si faceva il cinema”.
Gli anni Cinquanta ci vengono presentati, oltre che dalle foto di due capolavori come Cronaca di un amore e Miracolo a Milano, anche dalle immagini che si possono vedere in una saletta. Dove, a ciclo continuo, si può ridere con l'immancabile Totò, Peppino e la Malafemmina, Lo svitato Dario Fo e Susanna tutta panna. La stessa, azzecatissima unione foto-immagini viene riproposta pure nell'ampio spazio dedicato al decennio successivo, con spezzoni di opere immortali come La notte e Rocco e i suoi fratelli ma anche di un film che raccontava criticamente le trasformazioni di Milano come La vita agra di Carlo Lizzani. Completano la descrizione del periodo altri lungometraggi importanti come Una storia milanese, l'episodio meneghino del premio Oscar Ieri, oggi, domani, La rimpatriata, Il posto, I cannibali.
Dopo questa scorpacciata di fotografie, le seguenti tre sale le abbandonano incentrandosi su filmati o manifesti di alcuni fenomeni cinematografici tipicamente milanesi. La prima è dedicata al cinema industriale prodotto da aziende, mostrato - tra l'altro - da stralci di Tre fili fino a Milano, di Michelino 1ªB e dalla versione integrale di Il pensionato, tutti di Ermanno Olmi. Quindi, ci appare l'animazione milanese, con i fratelli Pagot, Bruno Bozzetto (e il suo Signor Rossi), la linea con l'omino di Cavandoli e altre chicche tratte dal mitico Carosello come Calimero, che ebbe successo in tutto il mondo e soprattutto in Giappone, ma non negli USA. Infine, ecco i manifesti del poliziottesco alla milanese che, oltre a evocare il fosco periodo attraversato da una città che stava diventando metropoli, in Banditi a Milano ha impresso anche un avvenimento realmene accaduto come la fuga della banda Cavallero che il 25 settembre 1967 seminò la morte per le strade sparando dai finestrini dell'auto.
Le fotografie ritornano protagoniste nell'ultima, vasta sala (Milano da bere e da ridere) che ripercorre gli ultimi decenni della cinematografia meneghina con i suoi filoni principali. Innanzitutto, la “commedia alla milanese”, sia nella sua versione più popolare (Pozzetto, Abatantuono, Boldi, Aldo Giovanni e Giacomo) sia in quella d'autore, da Nichetti a Salvatores (di cui appare una bellissima immagine del set di Happy family). Le foto, poi, ci narrano anche il genere della “Milano dell'inquietudine”, che ha in Silvio Soldini il suo caposcuola con L'aria serena dell'Ovest e in Marina Spada un'altra degnissima esponente. Mentre Io sono l'amore di Luca Guadagnino e Fame chimica ci indicano come il cinema riproduca solo parti, talvolta agli antipodi, della stessa realtà.
Siamo così giunti alla fine. Invece di uscire, però, tale è la ricchezza di questa mostra che viene voglia di tornare indietro, di rivedere, di riguardare tutto. Inaugurata l'8 novembre, “Milano e il Cinema” resterà aperta fino al 10 febbraio 2019.
Per ogni info: www.mostramilanoeilcinema.it