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Adriano Angelini. Suicidio di un sedicenne
29 Ottobre 2018
 

«Il tempo felice dell'uomo tra la fanciullezza e la giovinezza». (Giacomo Leopardi, Zibaldone, ed. Mondadori: 120)

Non è questo suicidio, come tanti altri ripetuti, una eccezione, bensì sintomo di una grave malattia sociale.

Siamo in grado di riportare la nostra civiltà logora e malata in seno alla natura per essere curata? Già nell'antichità, durante l'imperialismo macedone e poi romano, molti avevano avvertito la necessità di un ritorno alla natura.

O altrimenti dovremmo rassegnarci a constatare un numero in crescita di suici tra la gioventù. L'uomo è un animale sociale o politico come disse Aristotele. Se ciò è vero, come credo, sociale è dunque la responsabilità e quindi riguarda l'incivilimento che provoca nell'uomo debolezza e perdita di interesse per la vita.

Lo stesso Leopardi, maestro di vita a detta del nostro poeta Bertacchi:

«L'uomo non doveva per nessun conto accorgersi della sua assoluta enecessaria infelicità in questa vita... Il suicidio è la cosa più contro natura che si possa immaginare». (Zibaldone, cit.: 103)

«L'incivilimento ha posto in uso le fatiche fini, i lavori di abilità che consumano e logorano ed estinguono le facoltà umane, come la memoria, la vista, la forza in genere, le quali non erano richieste dalla natura, e tolte quelle che le conservano e le accrescono, come quelle dell'agricoltore, del cacciatore della vita primitiva, le quali erano volute dalla natura e rese necessarie alla detta vita». (Zibaldone, cit.: 113)

Sempre più viviamo una vita artificiale, programmata dalle macchine, che impongono indifferenza e razionalità. E col progresso che ha creato, l'uomo si è sempre più ingabbiato.

Il che significa che sempre più vive in spazi chiusi, sotterranei, lontano dalla vera luce; sopraffatto dalle macchine, l'uomo, privato del dialogo e della collaborazione umana, si sente più solo. Allontanato dalla sua stessa natura, vive quasi sempre fuori dal contesto naturale di cui si sente estraneo, avendo perso la confidenza e la conoscenza degli alberi, delle madri elementari, così degli animali.

Già Leonardo suggeriva: salvatico vuol dire colui che salva.

Ci allarma il fatto che sia un adolescente a compiere un gesto di tanta interiorità da sradicare la propria vita da sé medesimo. Dove sono volate le belle illusioni, patrimonio della gioventù, che fecondano la società di allegria e di enstusiasmo? Le ha rapite il mercato che impone il suo linguaggio perfino nelle scuole, per restituircele vuote, assordanti, ossessive e venali.

Ho il sospetto che la società umana si sia incamminata su qualche via che ha per nome necrofilia. Cosa ha ridotto quel giovinetto a una tale disprezzo di sé, soffocando l'amor proprio, essenza vitale? È un'età in cui l'uomo accoglie quasi inconsapevole l'impulso fatale della vita: l'amore, che ci fa sentire autori e partecipi di tutte le primavere, ch'egli purtroppo nessuna incontrerà, neppure quella che è lì alla portata di tutti, e l'avrebbe salvato, la primavera della stagione coi suoi mille fiori e cinguettii festosi, con la spensierata farfalla che tesse in cielo capriole di felicità, e con quella forza impareggiabile indomabile che tinge tutt'intorno di speranza e d'amore della vita. Mi par di suggerire alla giovanile età di fuggire il mercato: andate verso gli alberi, vi danno ossigeno! Presso gli animali, vi mostrano il meglio di voi! Oggi l'insidia è Interdet, il mercato globale: qui...

né salgono alberi al Sole

né germoglia l'antica rima: amore – fiore.

 

Adriano Angelini


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