I droga movies sono un sottogenere cinematografico interessante che ha caratterizzato i primi anni Ottanta del cinema italiano.
Il primo film di questo tipo è Tunnel (meglio noto come Eroina), girato da Massimo Pirri nel 1980 e presentato al Festival di Venezia nello stesso anno. Nelle sale si vedrà solo tre anni dopo e in una nuova edizione. Gli attori sono Helmut Berger, Corinne Cléry, Marzio C. Honorato, Franco Citti e Francesca Ciardi. Il film tenta di costruire uno spaccato sociale romano mostrando i tossici dei primi anni Ottanta, ma gli attori sono professionisti e l’idea del regista sarebbe quella di dipingere la fine di una generazione utilizzando il volto sfatto di Berger. L’esperimento riesce fino a un certo punto. Si racconta la storia di uno spacciatore in fin di vita (Berger), di una bella ragazza un po’ ingenua che si droga (Cléry) e di un bieco Honorato. I tre vivono su un autobus tra droga e sesso, crisi di astinenza e spaccio su vasta scala, fino al tragico finale. La scena più sconvolgente della pellicola è quella che mostra “una pera” nella fica di Corinne Cléry.
Amore tossico, girato nel 1983 da Claudio Caligari, è il vero film cult in tema di droga movies, soprattutto perché rappresenta un’esperienza quasi unica di pellicola realistica girata in presa diretta. Il film è ambientato a Ostia nel mondo dei drogati e descrive la quotidiana caccia alla roba da parte di un gruppo di amici. Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Loredana Ferrara e Clara Menoria sono tutti attori non professionisti e soprattutto ex drogati. Recitano le parti dei personaggi con i loro nomi di battesimo e utilizzano un linguaggio trucido da borgatari. I rumori di fondo come se fosse un film verità completano il quadro e anche se si tratta di fiction pare che gli attori recitino la loro vita. Vediamo l’acquisto delle siringhe, dei limoni, della droga e una scena veritiera dei tre amici che si preparano la dose e la sparano in vena. I protagonisti sono veri ex drogati e la condizione delle loro vene lo dimostra a sufficienza, così come è realistica la parte in cui vomitano dopo aver preso la dose. Vediamo il gruppo di amici alle prese con il metadone e il servizio sociale che tenta di recuperarli, le sedute psicologiche e le rapine per procurarsi la roba. La sequenza con Loredana che si spara un’endovena nel collo è realistica e ben interpretata. Il linguaggio del film è un’altra perla da segnalare: uno schizzo (una dose), uno strappo (uno scippo), una chiusura (un furto), svoltare (comprare la droga e farsi), la spada (la siringa). Si racconta “la prima volta che ci siamo fatti di cocaina”, quasi come se si parlasse del primo amore, e “la prima pera” è vissuta in modo romantico. Il film pare un documentario, freddo e glaciale nella prima parte, al punto di scuotere i benpensanti convinti che sul set si facesse sul serio. Si parla di uso e spaccio di droga come se fosse la cosa più normale del mondo, si esibiscono transessuali e prostitute che si vendono per comprare la dose, si punta l’indice su papponi e sfruttatori delle debolezze altrui. Un protettore sfrutta le drogate in crisi di astinenza, promettendo dosi in cambio di prestazioni sessuali rese al suo servizio. Una scena molto trash vede un frocio innamorato di Cesare che avvicina due suore vestite di bianco e dice: “Ma perché me piace tanto er cazzo? Le dia una palpatina, sorella…”. Di fatto un gruppo di ex drogati autentici raccontano la calata negli inferi del mondo della tossicodipendenza e la preparazione delle dosi è descritta in modo particolareggiato: cucchiaio, accendino, filtro, siringa e penetrazione in vena. I due protagonisti innamorati (Cesare e Michela) parlano di smettere ma non ce la fanno e quando decidono di farsi l’ultima pera è troppo tardi. La coca, presa come ai vecchi tempi, iniettata in vena davanti al monumento a Pisolini, produce il danno irreparabile. La seconda parte del film è troppo drammatica e scade nel banale con la sequenza della overdose di Michela davanti al monumento di Pisolini. La scena è comunque così tecnicamente ben realizzata da sembrare vera, pure se poi i flashback romantici di Cesare risultano eccessivi. La corsa all’ospedale è inutile, i medici tentano di salvare la ragazza ma ormai c’è poco da fare e un Cessare disperato ricorda il passato. Il fallito suicidio di Cesare a Ostia, la sua corsa di nuovo verso Roma e la polizia che uccide il protagonista, completano il quadro di una conclusione da dimenticare. Tutta la prima parte invece è ben sceneggiata ed è credibile come finto documentario realizzato da Claudio Caligari e Guido Blumir. Per Mereghetti la regia è troppo distaccata e rischia di apparire voyeuristica in molte scene, prima tra tutte quella della endovena nel collo. Amore tossico viene premiato al Festival di Venezia come miglior opera prima ed è distribuito con il patrocinio di Marco Ferreri che lo difende da tutte le critiche negative. Amore tossico è un film unico, curioso, anomalo che descrive il sottomondo della droga facendo parlare attori estrapolati dall’ambiente della tossicodipendenza. I protagonisti del film non li abbiamo più visti in nessuna pellicola successiva e qualcuno sostiene che siano finiti male. Il regista dice solo che si trattava di gente non professionista ma che erano usciti da tempo dal mondo della droga. Amore tossico è stato tacciato di pasolinismo a buon mercato e di bassa sociologia, ma per noi resta un film eccessivo e realistico, forte quanto basta e ricco di scene emblematiche. Il quadro costruito con il sangue dei ragazzi che si bucano è un vero colpo di genio del regista. «Questo sì che è un quadro vero. Fatto di vita. Fatto di sangue. Di sangue nostro» dice Cesare. Caligari non farà altri film per quindici anni e questa opera di culto segnerà per sempre la sua carriera. Acqua azzurra acqua chiara di Battisti - Mogol e Per Elisa di Battiato - Pio sono la bella colonna sonora di un’opera inquietante.
Alla fine degli anni Settanta comincia la diffusione della droga pesante in Italia e la stampa affronta spesso il problema, ma senza spiegare i motivi per cui la gente si droga. Il film invece pone l’accento su quello che molti non osano dire e mette in primo piano la ricerca del piacere interno che gli stupefacenti offrono a buon mercato. Caligari aveva già girato un documentario sull’eroina e con questo film decide di fare una fiction veritiera e di affrontare un tema che i media rimuovono sistematicamente. Amore tossico vive anche di situazioni grottesche, immerso nel mondo illegale della periferia romana, recitato da un gruppo di ex drogati che diventano uomini di fiducia del regista. Caligari acquisisce il gergo dei drogati, della malavita e della borgata, poi scrive un soggetto con l’aiuto dei ragazzi che agiscono come veri esperti. La sceneggiatura è modificata per ben quindici volte, perché Caligari tiene conto delle critiche del suo gruppo di ex drogati e vuole fare un film il più vero possibile. Gli attori sono ex tossicodipendenti presi dalla strada che però al momento di girare il film non hanno problemi di droga. «Il mondo della droga è così particolare che solo un vero drogato può renderlo sulla scena» afferma Caligari. Il regista è molto bravo a scegliere ex tossici che sanno pure recitare e che soprattutto non interpretano se stessi ma una sceneggiatura realistica. Molti critici sono caduti nell’inganno di pensare che Amore tossico sia la vera vita dei protagonisti, mentre si tratta di pura fiction interpretata da attori che conoscono molto bene cosa devono recitare.
«Fu un film molto difficile da fare. Avevamo scritturato degli ex tossicodipendenti che condividevano l’operazione politica del film, ma c’era il problema che ogni tanto uno di loro veniva arrestato prima di girare una scena. Allora dovevamo ingaggiare avvocati per tirarli fuori e spesso pure pagare costose cauzioni. Fu una vera avventura, il budget era basso e dovemmo girare tutto in un mese» dice Caligari.
La cosa più sconvolgente del film fu girare in primo piano il momento della iniezione in vena come una vera iniezione di sostanza liquida. Non si trattava certo di droga ma di alcune sostanze disintossicanti e neutre che gli ex tossicodipendenti non prendevano molto volentieri. La scena di Loredana che si buca nel collo con acqua distillata per simulare l’eroina bianca viene realizzata con l’ausilio di un gigantesco specchio fuori campo perché vedesse bene dove andava infilato l’ago. Il problema di girare le sequenze dove c’erano iniezioni di finta droga nelle vene fu quello di convincere i drogati a non prendere sostanze tossiche. Il film fa anche la storia della droga in Italia che comincia a diffondersi con l’eroina e l’anfetamina e i flashback finali di Cesare servono svolgono pure questo compito. Nel film ci sono molte scene non girate, pare che una sorta di autocensura impedì a Caligari di realizzare una parte molto forte all’interno del carcere. Si trattava di una scena drammatica di arresto del protagonista che passava una notte in galera con altri tossici e alla fine si vedeva un drogato che si impiccava in preda a una crisi di astinenza. Dopo il suicidio del tossico il protagonista veniva trascinato in un’altra cella da alcuni secondini e qui veniva riempito di botte. Pare che la storia fosse vera e la produzione la ritenne troppo cruda per il sistema politico di allora, visto che si parlava di eroina in carcere e di botte inferte dai secondini.
Gordiano Lupi