La lode dei tempi trascorsi incorre nel rischio della retorica, e cioè della falsità: perché induce il sospetto che quei tempi appaiano così positivi proprio perché trascorsi, sottratti alla verifica dell'esperienza quotidiana.
Tuttavia la lode del passato suggerita dal film finlandese: La vera storia di Olli Mäki, del regista Juho Kuosmanen, giunto un po' fortunosamente, un po' clandestinamente, nelle sale cinematografiche, sotto Ferragosto, grazie a una casa di distribuzione indipendente, Movies Inspired – dopo aver vinto al festival di Cannes, nel 2016, il primo premio nella sezione “Un certain regard” - quella lode del passato è così discreta, sommessa e sottile, da essere del tutto estranea a quella retorica reazionaria che usa toni altisonanti.
Dico: lode del passato, ma in effetti si tratta della lode in particolare di un personaggio, che però, si suggerisce, in quel passato non troppo lontano – il racconto è collocato all'inizio degli anni Sessanta – quel personaggio, quella mentalità, quello stile di comportamento, risultano verosimili, mentre oggi risulterebbero forse più improbabili.
Il personaggio in questione è un pugile, considerato in un momento cruciale della sua carriera, quando si prepara ad affrontare il combattimento con un campione americano per la conquista del titolo mondiale. E si dedica all'allenamento con tutto il rigore necessario.
Ma si avverte presto in lui un'insofferenza rispetto all'eccezionale avventura che si trova a vivere. E non per l'impegno propriamente sportivo; ma per gli impegni accessori che gli sono richiesti, in primo luogo quelli relativi alla cura della propria immagine, per i quali, ad esempio, dovrebbe mostrarsi certo della propria vittoria, desideroso soltanto di abbattere il proprio avversario.
Sarà che nel frattempo il pugile si innamora di una ragazza – la quale segue a distanza, con discrezione, con intelligenza, il suo allenamento – e dunque egli si sente più incline alla gentilezza. Fatto sta che la retorica sportiva, oggi come allora un po' bellicista e maschilista, gli provoca via via quasi disgusto. E l'alterazione della propria immagine come quella di un vincente, che gli è richiesta dall'allenatore, dagli sponsor, dai mass-media, urta contro la sua naturale sincerità. Gli sembra che gli sia sovrapposta una maschera alla quale si sente inadeguato.
Non per questo si sottrarrà al combattimento. Ma comunque esso vada, avrà maturato una convinzione: che se nella carriera sportiva la vittoria è tutto, nell'ambito complessivo della vita è solo un dettaglio, conta molto di più l'amore.
Insomma: La vera storia di Olli Mäki è in primo luogo il ritratto di un gentiluomo d'altri tempi, forse troppo positivo per risultare del tutto vero, un po' edificante.
Tuttavia la figura del protagonista – fisicamente prestante, ma allo stesso tempo stempiato, di bassa statura, e tuttavia seducente per i suoi modi sempre sobri ed eleganti; il suo rapporto complice, affettuoso, con il suo allenatore, che però non riesce a comprenderlo; o quello con la ragazza di cui si innamora, che invece lo comprende e lo ama, vincente o perdente che egli sia; se anche sono realtà evidentemente un po' idealizzate, sono descritte con una sottile commozione, con uno struggimento segreto, che vorremmo crederci, come di sicuro vorrebbe crederci l'autore. E per questo, comunque, ci coinvolgono.
L'uso del bianco e nero, d'altra parte, ci avverte che ciò che vediamo appartiene al mondo del cinema classico, magari dei film di Chaplin; a un repertorio di immagini del passato, ma non all'attuale realtà.
Un film da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 18 agosto 2018
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