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Carlo Forin: Gnosis.
Gnosi
Gnosi 
11 Gennaio 2007
 
 
< G NUS IS. Teonomasiologia e canone. Lo studio dei nomi degli dèi mi ha introdotto ad un’osservazione panoramica dei fatti antichi [: sociologia della protostoria].
I nomi degli dèi illuminano i nomi umani, cardini delle parole comuni.
Direi che l’approccio nuovo mi ha liberato dai canoni, cioè sono stato condotto fuori dai sentieri troppo ripetutamente percorsi e credo di aver individuato diverse cose nuove che giacevano dall’antico sotto gli occhi di tutti, ma che non vengono viste a causa del canone [la regola che dà ordine ed anche morte al pensiero]. Occorrevano lenti nuove per vedere le cose nascoste dai canoni [cose ridotte ad ‘ideologia’, ovvero a ‘rappresentazione del mondo non corrispondente al mondo com’era’ –‘ideologia’ secondo Karl MANNHEIM, Ideologia e Utopia, 1957 Bologna-].
Abbiamo già visto Virgilio sacerdote etrusco che il canone ha imbalsamato come poeta romano.
Lo gnosticismo è diventato un altro di questi canoni/lenti [Qui ‘lento opposto a rock’ per stare con Celentano]: quante pagine di bibliografia bisognerebbe prospettare allo studioso che volesse dirsi informato almeno in modo leggero su questo fenomeno (una cinquantina?)? E, nonostante un esame approfondito di tutti gli autori il nostro lettore con sete di gnosi rischierà alla fine di rimaner chiuso nel canone, ovvero portato a ripetere: ‘Tizio scrive che Caio ha scritto che Sempronio scriveva’. Ma, i fatti raccontati secondo i canoni sono sempre quelli antichi o non si sono alterati, invece, nella lunga narrazione?
 
 
In principio c’è l’ascolto”
«In principio c’è l’ascolto» scrive Joseph Ratzinger in servitori della vostra gioia (a: 85) un ascolto prolungato, fuori dai canoni, religiosi e laici [Anche se il Papa privilegia l’ascolto di Dio con la preghiera, non omette la lettura di Virgilio e l’ascolto di Mozart]: «Come nella vita dell’uomo non si ottiene niente di grande senza disciplina e metodo, così anche la vita interiore ha bisogno dell’uno e dell’altro. Quando ascoltiamo un grande artista che domina magistralmente il suo strumento, ci commuove la facilità, l’apparente naturalezza e scioltezza, che semplicemente fa parlare la bellezza dell’opera stessa. Ma perché si abbia alla fine questa facilità, nella quale la grandezza si esprime in modo puro e autentico, deve precedere un lavoro lungo e metodico». (: 93-94). La disciplina ed il metodo, non uccisi dal canone (canone che assimiliamo all’abitudine che sterilizza il metodo rendendolo incapace di generare pensiero vivo) porta Ratzinger a scrivere: «Nel periodo della formazione del canone [Con ‘periodo di formazione del canone’ s’intende, chiaramente, un periodo in cui il canone, cioè il pensiero abitudinario, non si è formato, nda], che come tale è stata anche la formazione della Chiesa e della sua cattolicità, Ireneo di Lione prima di tutti gli altri dovette affrontare tale questione, nella cui soluzione si decide la possibilità o l’impossibilità della vita cristiana. Ai suoi tempi Ireneo riconobbe che il principio del cristianesimo dell’adattamento e dell’illuminazione (la cosiddetta gnosi), che allora minacciava la Chiesa alle fondamenta, fu la divisione sulla Bibbia come separazione tra Bibbia e Chiesa». (: 101-102).
 
Ireneo di Lione
Vediamo alla fonte di Ireneo il pensiero degli gnostici.
In principio ci sono gli eoni, secondo gli gnostici, racconta Ireneo (di Lione, Contro le eresie, Milano, Jaka Book, 1997, a cura di Enzo Bellini. (Denuncia e confutazione della falsa gnosi libri 5).
Il vescovo Ireneo mostra ad un onomasiologo che il suo nome, presumibilmente, è sacerdotale, cioè viene scelto all’atto della nomina come per ogni vescovo: significa ‘portatore di pace’, in latino, seguendo l’insegnamento di Cristo: -Io vi lascio la pace, vi do la mia pace-. Un nome scelto dal futuro vescovo con cura, che mostra che il latino ireneo sillabato in ablativo [il caso latino che ci trasmette normalmente parole uguali in italiano] è in sumero IR EN EU un ‘andare ente casa-Cielo’ ed anche IR EO NE, un andare dell’eone [Ireneo di Lione, Contro le eresie, Milano, Jaka Book, 1997, p. 51: 1,1. Dicono (gli gnostici, nda) che nelle altezze invisibili e innominabili c‘è un Eone perfetto preesistente: lo chiamano anche Preprincipio e Prepadre e Abisso –AB ZU sumero, IR EO NE > Ir en eo-].
EO NI indica anche ineo latina per ‘entro’.
S’intende un entrare della G di Luce, “l’illuminazione (la cosiddetta gnosi)” di cui Ratzinger ci racconta, come abbiamo visto.
 
Hans Jonas
Hans Jonas [Hans JONAS, Lo gnosticismo, Torino, SEI, 1991. Titolo originale: The Gnosis religion], un filosofo ebreo conoscitore dell’ebreo, dell’aramaico e di altre lingue dell’antico oriente, è un altro che mi ha aiutato a rompere i canoni perché ha letto direttamente le fonti: se Ireneo dice che gnosi è conoscenza superiore, Jonas scrive: «Gnosis significò anzitutto conoscenza di Dio […] Oggetto di tale conoscenza è tutto quello che appartiene al regno divino dell’essere, e precisamente l’ordine e la storia dei mondi superiori e ciò che deve provenirne, ossia la salvezza dell’uomo» (The gnosis religion, p. 54-55).
 
Apuleio
Una conoscenza sulla quale doveva almanaccare l’asino d’oro, Lucio, ovvero Apuleio in persona [e questo vi racconto fuori da tutti i canoni]. Scriveva Ireneo che gli psichici di destra, gli gnostici come l’oro gettato nella melma non perde il suo splendore si ritenevano predestinati a tornare alla casa del Cielo (EU).
Chi ha mai scritto che Apulejo fu uno gnostico? Nessuno, vero? Avrete letto discorsi che negano la veridicità del sottotitolo Asinus aureus al Metamorphoseon libri XI, seguendo un’illazione asinina che lasciamo anonima per carità di pensiero [L’opera consiste nella narrazione delle vicissitudini di Lucio, trasformato per magia in asino, capace di intendere ma impossibilitato a farsi capire; dal terzo fino all’11° libro attraversa ogni avventura finché la fortuna volge a suo favore: mangerà da un albero di rose e recupererà la forma umana e l’uso della lingua grazie ad Iside ai cui misteri s’inizia].
L’opera geniale [l’uomo-asino capace di ascolto ma incapace di parola è un’immagine impareggiabile che dà l’emblema della situazione esistenziale dello gnostico prigioniero del mondo alieno], banalizzata in sole favole, termina con «quoquoversus obvio, gaudens obibam» tr.: “in qualunque direzione io sia orientato sulla via ci andrò gioioso”: nasconde da gnostico il fine ultimo che lascia vedere agli iniziati. Obibam finisce con –am che, ribaltato e collegato all’incipit At dà in circolo MA AT, nome di Iside giusta. Iside è il fine giusto al quale tende il suo sacerdote, realmente convertito al suo culto. L’archeologia materiale è stata capace di portare alla luce innumerevoli resti di templi in Roma di Iside, ma ha bisogno di un’archeologia del linguaggio –fuori dai canoni- per riconoscere un’autobiografia nella trasformazione di Iside –Metamorphosis- di IS,.
Ed Apuleio (n. 215) è coetaneo, dello stesso secolo, di Ireneo (n. 235-240) come Valentino, il filosofo gnostico più famoso che fu in Roma poco prima della supposta pubblicazione delle Metamorfosi (ca 260), scomunicato da Pio I per gnosi. Molto probabilmente Apuleio, della scuola platonica, lo ascoltò direttamente.
I latinisti hanno inquadrato il maestro di prosa latina Apuleio come semplice raccontatore di favole, così bravo però, da farsi leggere per secoli da gente di tutti i popoli. Questa popolarità di un favolista per adulti e la sua fabula graecanica dovrebbero avvertire: non arrischiate giudizi asinini superficiali! Solo un genio poteva descrivere se stesso immedesimato temporaneamente in asino in quanto fuori dalla via religiosa giusta, perso in Fotide –la servetta compiacente a fottere-. Non un cristiano, anche se era frequente il dileggio ‘devoti ad un asino’ contro i cristiani [ed abbiamo ad Aquileia l’immagine cristiana del Cristo in croce con testa d’asino come potrete vedere nella prossima pubblicazione di Silvia Biason Scarel sul Cristo della contessa].
E gli esperti di gnosi, cioè di ‘conoscenza superiore’, hanno discusso di Cristianesimo ortodosso ed eretico, considerandolo comunque argomento altro rispetto al pensiero e alla religiosità pagani [suppongo che in Teologia cristiana si studi la gnosi solo secondo canoni religiosi ortodossi o eretici al Cristianesimo].
 
Tertulliano
Il primo sospetto di canone deviante mi è nato dalla lettura del De anima di Tertulliano, che si pone il problema della fine fatta dall’anima di Socrate, una fine infernale prederminata da un demone che Tertulliano suppone aver assistito il maestro di pensiero fin dalla nascita per erompere alla fine facendolo suicidare con la cicuta. Nel periodo della formazione del canone Tertulliano (n. 156-160 circa al tempo di pubblicazione delle Metamorfosi di Apuleio) aveva letto certo le Metamorfosi.
Il destino dell’anima di Socrate è lo stesso tema giocato, con spasso [lector intende: laetaberis] da Apuleio, nel confronto iniziale alle Metamorfosi tra Aristeo e l’amico Socrate.
La canonizzazione del pensiero, cioè la partizione tra latinisti classici (Apuleio) e latinisti religiosi (Tertulliano) non era ancora nata ed il pensiero religioso si sarebbe confrontato solo dopo, nel canone, unicamente col pensiero religioso (Tertulliano, campione ortodosso nella prima fase finì in eresia montanista, ma il canone lo conserva tra i Padri della Chiesa per il suo contributo apologetico iniziale di maestro di espressione latina).
 
Sant’Agostino
Sant’Agostino –filosofo con i fiocchi- si dimostrava perplesso di fronte alla fama di Apuleio: riferisco a senso “ma che miracoli può aver fatto questo mago incapace di sottrarsi a chi gli voleva male (prova il processo subito per magia) e incapace di aver potere o grandi fortune? Eppure ha un seguito incredibile pur dopo secoli”.
In Le confessioni scrive a Dio:
Non per ciò, tuttavia, desisterà il mio cuore dal renderti onore e dal cantare le tue lodi per le spiegazioni ricevute, sebbene sia incapace di esporle.
È insomma la stessa mutevolezza degli enti mutevoli ad ammettere tutte le forme in cui gli enti mutevoli si mutano. Ma essa, cos’è? Spirito forse? o forse corpo? o una parvenza di Spirito? o di corpo? Se si dovesse parlare di un nulla esistente o di un essere inesistente, così ne parlerei. Eppure doveva esistere in qualche modo, per assumere gli aspetti visibili e complessi del mondo. Mostrando due secoli dopo Apuleio di aver riflettuto sulle Metamorfosi del suo conterraneo al di là delle favole.
Mi sono reso conto che Apuleio era un mago della parola (capace di andar assolto al processo dall’accusa di magia per non aver fatto malefici provabili dagli accusatori e di convincere anche i moderni ‘canonizzati’ di non essere affatto un mago), cioè autore di miracoli verbali –che il lettore che vede la parola ma non la ode fatica a riconoscere come miracoloso- ed affascinato dall’esoterismo, come mostrano le sue altre opere.
Il primo fatto si intuisce dal titolo mezzo greco e mezzo latino (Metamorphoseon libri XI), dalla sua dichiarazione programmatica dell’incipit del suo capolavoro “Le metamorfosi o l’asino d’oro”.
 
Iam haec equidem ipsa vocis immutatio desultoriae scientiae stilo quem accessimus respondet
che traduciamo:
d’altra parte senza dubbio proprio questa stessa mutazione del suono risponde meglio allo stile che abbiamo adottato della scienza che va per salti.
 
Lo stile di Apulejo si conforma alla scienza che va per salti basata sull’ascolto della mutazione del suono nel linguaggio. Il nuovo sermone appreso nel Lazio dall’attide Lucio, il protagonista che gli consente una specie di autobiografia, costretto a distinguere i suoni di una lingua forestiera, è stato appunto l’argomento trattato appena prima dell’enunciazione di questa regola [«-Chi è costui?- ti domanderai. Ti rispondo in breve. L’attica Imetto, l’epirota Istmo, la spartana Tenaro sono terre felici, celebrate in eterno in opere ancor più felici: di qui derivò in antico la mia prosapia; qui, nei primi esercizi della mia fanciullezza, appresi la lingua attica. Poi, nella città del Lazio, io, ch’ero straniero nell’ambiente della cultura romana, intrapresi con durissima fatica lo studio dell’idioma locale, e in esso mi approfondii, senza che alcun maestro mi guidasse. Chiedo perdono, dunque, se, parlatore inesperto, incorrerò in qualche termine esotico o popolare». Traduzione di Claudio Annaratone].
La ‘scienza che va per salti’ è magia perché i salti più estesi nel discorso sono quelli religiosi, che legano la Terra al Cielo.
 
G NUS IS
G NUS IS [NUS < SUN = SU UN, dove SU è l’accadica ZU sumera e UN è NU, del Nous], della parola greca gnosis, ha in coda IS, l’Essere che si invita a conoscere.
La prima lettera, G, ha una sua scansione separata tra i logogrammi sumeri [Si veda riscontro in www.sumerian.org/sumerlex.htm. La G scandita in modo separato dalle sillabe. LU GH, soggetto luce, spiega il nome della luce come entità ‘animante’. In latino resterà come x della lux.];identifica il dio LU GH, ‘Soggetto Luce’, latina lux, la luce.
La luce originaria è ciò che lo gnostico cerca per tornare ‘alla casa del Padre’.
«Il fine dello sforzo gnostico è la liberazione dell’uomo interiore dai legami del mondo e il suo ritorno al regno nativo della luce. Condizione necessaria per questo è che egli conosca il Dio transmondano e se stesso, ossia la sua origine divina come pure la sua presente condizione e di conseguenza anche la natura del mondo che determina tale condizione. Come dice una famosa formula valentiniana:
-Ciò che libera è la conoscenza di quello che eravamo, di ciò che siamo diventati, di dove eravamo, dove siamo stati gettati, verso dove ci affrettiamo, da dove siamo redenti, che cosa è nascita, che cosa è rinascita- (Exc. Theod. 78, 2).
Tale conoscenza gli è impedita dalla sua stessa situazione, poiché l’ignoranza è l’essenza stessa dell’esistenza mondana, proprio come è stata creata il principio del venire all’esistenza del mondo». JONAS 1991, p. 65.
NUS significa ‘mente’ in greco.
Qui veniamo alla potenza orientatrice che viene dai nomi degli dèi, capace di spezzare la morte di pensiero nascente dal canone.
G NUS IS: luce [G, il dio che ci orienta] mente [nus] Essere [IS di Ish- tar –Essere non essere-].
La mente cerca di collegare la luce all’Essere, oppure l’Essere vi inserisce la sua luce.
Le congiunzioni tra le parole possono variare il significato totalmente cambiando la fonte dell’iniziativa.
Molto sinteticamente: quando è la mente a ricercare la connessione con l’Essere il collegamento sarà casuale o impossibile, dal momento che il finito cerca l’infinito (Semerano 2001); quando è l’Essere con l’iniziativa il collegamento si realizza se la mente non fa liberamente opposizione, dal momento che l’infinito comprende il finito.
«In principio c’è l’ascolto» significa questo.
Ma, se per ascolto intendiamo ad audiendum il rapporto tra uomo e uomo allora potremmo ascoltare meglio la favola graecanica indagando il narratore alla fonte, fuori dai canoni.
Lo volete?
 
Carlo Forin

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