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Albert Oehlen. Cows by the water
08 Agosto 2018
 

Parole accanto alla pittura

Jean-Perre Criqui

Ci sono certe imprese in cui un accurato disordine è il metodo buono”

(Herman Melville, Moby Dick o la Balena,
Cap. 82 “L’onore e la gloria della balena”)

 

Benchè le nostre informazioni siano false, non le garantiamo”

Erik Satie

 

Venezia, nella sede di Palazzo Grassi, presenta, fino al 6 gennaio 2019, “Cow by the Water”, la mostra personale di Albert Oehlen (1954, Krefeld, Germania) nell’ambito del programma delle monografie di artisti contemporanei – alternate a esposizioni tematiche della Pinoult Collection.

L’esposizione, a cura di Caroline Bourgeois, traccia un percorso lungo la produzione dell’artista attraverso una selezione di oltre 80 opere, dalle più note a quelle meno conosciute, dagli anni ’80 a oggi, provenienti dalla Pinault Collection e da importanti collezioni private e musei internazionali. Il percorso espositivo, concepito insieme all’artista appositamente per gli spazi di Palazzo Grassi, non segue un ordine cronologico ma un ritmo sincopato tra i diversi generi, a voler rappresentare il ruolo della musica nella produzione di Albert Oehelen, metafora del suo metodo di lavoro dove contaminazione e ritmo, improvvisazione e ripetizione, densità e armonia dei suoni, diventano gesti pittorici.

Pur rifiutandosi di appartenere a una corrente o a un movimento artistico specifico, Albert Oehlen si è affermato come uno dei protagonisti della pittura contemporanea grazie a una ricerca in continua evoluzione dedicata al superamento dei limiti formali e alle sperimentazioni, più che al soggetto dell'opera.

Albert Oehlen è un artista che sfida tanto le categorizzazioni quanto l’estetica, il pensiero o l’approccio classici della pittura. Varia sia i soggetti delle sue opere, sia la tecnica utilizzata. Così facendo, indaga la definizione stessa di cosa sia un dipinto, un quadro, passando dall’astrazione alla figurazione, dal collage al computer painting, dai finger Malerei (dipinti realizzati con le dita) all’utilizzo della spazzola, dalle opere completamente grigie a quelle astratte multicolori.

Albert è un punk che interroga sempre in modo radicale una posizione, un rapporto sacro con l’arte. Partendo da una dimensione ribelle che rifiuta ogni clichè e utilizza un suo humour profondo, mette in discussione l’insieme dei nostri punti di vista di riferimento: il rapporto con la natura, il ritratto, l’astrazione con i suoi riferimenti eroici, i collage utilizzando manifesti pubblicitari di prodotti popolari. Le sue opere premono per ritornarvi più volte, cercando sempre nuovi livelli di lettura.

Per accostarci al suo lavoro, i curatori, si sono basati sul rapporto con la musica, in particolare con il free jazz in quanto metafora del suo approccio. Il musicista di free jazz è un grande virtuoso che, in ogni improvvisazione, si assume il rischio del fallimento, nella speranza di trovare un nuovo suono o un’altra esperienza musicale. L’esposizione di Palazzo Grassi, che raccoglie lavori dal 1980 a oggi, aspira quindi a utilizzare il rapporto con la musica come chiave per seguire il percorso e l’attività dell’artista fin dai suoi esordi.

Albert Oehlen è un artista che ama perseverare. I temi si ripresentano, ma con l’intento di approfondirli ogni volta in un modo diverso, riprovare sempre. Nella sua opera Elevator 1-8, per esempio, Oehlen combina un gruppo di otto quadri, datati 2016, con uno risalente al 1996 (Raumflug).

Naturalmente ho un grande interesse per la musica di improvvisazione. Innanzitutto perché mi piace, e poi perché la mia pittura – in particolare ciò che sto facendo in questo momento, ma anche il mio lavoro precedente – dà sempre l’impressione di essere stata eseguita rapidamente, dunque è paragonabile alla musica improvvisata.

Albert Oehlen, Elevator Paintigs, New York, Gagosian Gallery, 2017

Attraversando il lavoro artistico di Albert Oehlen taluni approcci ricorrono come punteggiatura, per esempio i quadri della serie Computer Paintings (opere derigrafate a partire da un immagine realizzata al computer e poi lavorate con materiale pittorico, una pratica adottata dall’artista per la prima volta nel 1992) oppure la serie degli Alberi. Sembra che l’uso del tema ricorrente sia per Oehlen un modo più semplice di darsi una cornice per spiegare il lavoro senza preoccuparsi del “soggetto”.

Di solito il computer aiuta a fare qualcosa che altrimenti non si riesce a fare. I computer aprono una finestra sul futuro. In questo caso le cose si rovesciano. Il pittore corregge i pixel e alla fine l’immagine del computer dà vita a un’immagine dipinta a mano.

Albert Oehlen, Carré d’Art

I suoi quadri sono complessi e non possono essere ridotti né a una spiegazione né a una descrizione. Il primo pensiero dell’artista è che sia possibile trattare qualsiasi soggetto e che, anche partendo da una rappresentazione figurativa, essa ci conduca verso l’astrazione, forse forma ultima del suo lavoro.

La ricerca di Oehlen si muove in più direzioni e attraverso le interviste l’artista ci rivela parte dei suoi punti di riferimento (Salvator Dalì, John Grahm, Willem de Kooning, Philip Guston, Francis Picabia, Sigmar Polke, Jackson Pollock, Robert Rauschemberg, Georg Baselitz), dimostrando il proprio interesse per un approccio peculiare, che va ben al di là del “buon gusto”.

All’inizio della carriera, negli anni settanta, la sua pittura – e la sua pratica in generale – fu duramente criticata. Con il ricorso a supporti diversi – specchi, stoffe, affiche – Oehlen si è progressivamente liberato dai modi più stridenti, dai temi più diretti, per rivolgersi fin dagli anni ottanta verso l’astrazione assumendosi sempre più rischi. L’artista ha un senso del paradosso, come attestano i suoi Computer Paintings che sono dipinti e i collage che diventano “quadri”.

Fin dall’inizio egli affina questa qualità, ma le tiene a distanza mantenendole allo stesso tempo a portata di mano, consapevole dell’esistenza di diverse “storie di pittura” e del rapporto con il reale. Il lavoro di Oehlen fa pensare alle realtà del mondo senza che lui ne parli mai esplicitamente, ma piuttosto come un’eco. In questo modo l’artista ci spinge costantemente a spostare sempre più in là i nostri limiti e i nostri pregiudizi, per lasciarci guidare da una musica fino a quel momento ancora sconosciuta.

Sono convinto di non poter raggiungere la bellezza attraverso una via diretta, può essere solo il risultato di un insieme di riflessioni. Altrimenti dobbiamo ritornare al suono puro e originale che genera la felicità, e io ci credo. […]

Albert Oehlen, Monopoli, 2010

 

Maria Paola Forlani


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