Eravamo approdati a Novembre in Valtellina con Stefano Lorefice. Ci rimaniamo ora per scoprire Silvia Monti, nata a Morbegno nel 1971. Questo articolo doveva essere pubblicato in Dicembre ma a causa del mio trasloco (da Milano a Lugano) è slittato ad oggi. Confido però che questo scarto nel calendario porti bene alla mia rubrica, alla poetessa, e a TELLUSfolio che può ospitare una voce poetica cresciuta a Morbegno in Valtellina, proprio dove il giornale ha la Redazione, dove ha la sede l'Editrice Labos e dove la rivista-annuario TELLUS diretta da Claudio Di Scalzo viene stampata. (fa)
Silvia Monti è laureata in Lettere moderne, indirizzo storico, con una tesi dal titolo “Matrimoni clandestini nella diocesi di Como in epoca pre-tridentina”.
In Morbegno ha fondato e diretto per qualche tempo un gruppo di prosa sperimentale (P.P.P. Prose-Per-Prova) poi, nel muovere verso Milano e Monza per studio ha svolto molteplici attività per “tirare avanti”: colf, aiuto magazziniere in una ditta di prêt-à-porter, giardiniere, cassiera di cinema, insegnante. Oggidì è una professoressa che sta per entrare in ruolo.
La prima raccolta di poesie - Meteo - è una plaquette che risale al 1995 cui segue l’inclusione nella collettanea Brevi per un’epica ai vicini (edizioni I.S.U. Univ. Cattolica, Milano, 1997), NOVANTASETTE Km (quaderni di poesia del gruppo fara, Bergamo, 2004), una seconda inclusione nella collettanea Aperitivo con Marta (Edizioni Clandestine, Marina di Massa, 2005) ed infine più primavera che paranoia (LietoColle, 2006).
Quest’ultima pubblicazione è parte del progetto Opera Prima che vede talentuosi emergenti scelti tra migliaia di invii ed editi a spese dell’Editore.
Il risultato conferma la scelta.
Per parlare della poesia della Monti bisogna partire dal libro precedente, NOVANTASETTE Km: nelle 23 poesie che lo compongono è già netta la lingua in uso, ben lavorata, diritta. Le ascendenze dei numi tutelari giocano un qualche ruolo senza però alcuna sovrapposizione: è raccolta l’eredità di Antonia Pozzi, un certo Pavese, Montale, Patrizia Cavalli, Annamaria Carpi, la Szimborska come anche Penna e Caproni ma il tutto viene assimilato, decostruito, rigovernato. Le memorie esistenziali trovano qui un verso sperimentale, qualche effetto grafico, ma è la sintesi che gioca da padrona. Silvia Monti lima, liscia, lavora sul verso per tendere alla perfezione assoluta, verso quel Testo, quella Poesia cui non verrà cambiata una virgola nemmeno in futuro. Mai paga del risultato, questa pubblicazione (cosi come la successiva) è frutto dell’averle strappato di mano i testi imponendole la fine. Altresì è una autrice parca, modesta: un numero limitatissimo di poesie viene scritto e ancor più limitato è il numero di poesie che vengono pubblicate non dopo aver operato lei stessa una selezione intransigente. Non è spocchia, non è un atteggiamento: è invece frutto del rispetto che l’autrice ha della parola, della poesia, degli esempi dati da quei numi tutelari che sono certamente una guida ma anche una “condanna” e a cui inevitabilmente si rapporta.
I titoli che aprono ogni poesia sono il tentativo più evidente di trovare la propria forma: abbiamo partenze / 1 – partenze / 2 – partenze / Gi – urgenze / 1 – urgenze / 2 – (a /ab) – (de) – /giugno/.due – /giugno/LATO A(solo per citare, ma si potranno vedere successivamente nei testi offerti in lettura) che se apparentemente paiono grafismi, giochi ad effetto, ottengono invece il risultato di scandire nettamente quello che poi viene rivelato dal testo sottostante. La forma avviene con poesie compiute (come già detto) dove si alternano tematiche che rimarranno care all’autrice: partenze e ritorni (a volte fughe), viaggi (spesso da sola e di notte) in auto o in bicicletta, lo sforzo (del viaggio, della vita), il rapportarsi necessariamente a quello che è l’ambiente circostante, il tempo (che viene evocato spesso sotto forma di orario o di oggetto orologio), la ricerca/interrogazione, la musica, l’uso di un parlato colloquiale a tratti spiazzante. Il tutto è dosato con pudore, con calma, con una certa ritrosia anche.
Medesime modalità trovano luogo nella seconda e per ora ultima raccolta, più primavera che paranoia (che porta anche una esauriente ed attenta prefazione del poeta Ivan Fedeli che coglie più di altri le profonde sfaccettature della poesia della Monti).
È una raccolta coerente e ben strutturata, divisa in tre sezioni, ognuna a completamento della precedente (donne e motori – dark è la notte – ri-soluzioni). Ciò che era la divisione in titoli della prima raccolta, qui viene invece allargato in un discorso più omogeneo e articolato in sezioni. Nuovamente, molte le suggestioni che sostengono, suggeriscono, attestano: letture, musica, teatro, i mezzi di locomozione, i luoghi, gli affetti.
La musica gioca un ruolo portante nelle scelte linguistiche (frequenti le evocazioni o brevi passaggi trascritti come fossero incipit, sottolineature, chiuse).
La sezione Dark è la notte (un concept album) arriva – per esempio – ad essere creata grazie alla metabolizzzione di una pièce teatrale di Sara Kane (autrice di teatro, morta suicida), dalla lettura di Cesare Pavese (poeta e scrittore, morto suicida) e da Zeno Cosini, il famoso “terzo inetto” di Italo Svevo ne La Coscienza di Zeno: personaggio – come tutti i personaggi di Svevo – ammalato di “inettitudine”. La sua "senilità" è un dato anagrafico non morale come poteva essere nel personaggio di Emilio. Egli, ormai anziano, decide di rivolgersi ad uno psicoanalista per risolvere i suoi problemi, ma una volta "guarito" scoprirà che la sua malattia è una malattia che affligge tutta la società, non solo la sua persona. Questa è decisamente la sezione più tormentata anche se salvataggio viene dato dall’uso dell’ironia: proprio Silvia, in un confronto con i lettori che avvenne sul blog letterario di Massimo Orgiazzi (www.liberinversi.splinder.com) ci dice che nell’ironia crede per stemperare anche il momento più feroce, la parla più cupa.
È il suo tratto distintivo e ben lo comprende Fabrizio Bianchi quando sul quadrimestrale Le Voci della Luna ha scritto: (…) Attentissima però, alla poetica le “lato B”, alla disperazione discreta di una generazione cresciuta nel marrone , agli accumuli caotici (lei scrive “ironicamente indecenti”) ma significativi del disordine quotidiano, all’eros solo suggerito da un porsi delle mani, dal piacere di indossare un capo cucito dalla persona amata, dai fruscii dell’asfalto o della dinamo della bicicletta, quando il percorso è un avvicinamento.
Ancora e riprendendo Ivan Fedeli dallo scritto in prefazione: un canzoniere d’amore e di protesta – e come tale importante – che è qualcosa in più dunque: un viaggio di “formazione queer” nella sua compiuta veste, attuato grazie all’immediatezza di una scrittura gentile e discreta, che si avvale della sua spinta persuasiva, di una carica fatta di pennellate veloci, deliziosamente efficaci.
Una forma di poesia civile aggiungerei, dove non gioca soltanto l’universo del personale ma un confronto, l’attuazione dei movimenti che pongono quesito e non impongono risposta che deve invece essere distillata in proprio a patto di saper leggere con attenzione la matrice non solo linguistica. Ancora un volta, è l’ironia l’arma dolcissima per mezzo della quale veniamo sezionati e posti davanti allo specchio. Parla di sé parlando di noi. Noi siamo lei tanto quanto lei è parte di noi eppure in mezzo a tutto quanto il santo mondo/ reale, logico, normale/ esisto./ buona, calibrata, autoironica e modesta.// Non c’è denuncia più sociale/ di questa.
Nessuna facile scappatoia ma compattezza, verità come valido strumento di conoscenza anche se gli eventi sono labili vanno catturati velocemente, in presa diretta schivando gli inganni dell’apparenza e della memoria. Giochi irriverenti a tratti, per contrastare l’irrequietezza, la possibile scomparsa della lucidità e quel registro solo apparentemente ludico che è invece incarnazione del pronunciare perché tutto rimanga ma soppesato, vissuto, trovando quella dimensione morale che ci guidi alla comprensione ma senza austerità o “morale” (intesa ora come condanna o confine). È una espressività potente che viene offerta in punta i piedi, senza gridare, instaurando invece un rapporto dialettico in cui la voce è udibile. Una pronuncia terrestre e inesorabilmente umana.
da Novantasette Km, quaderni di poesia del Gruppo Fara, Bergamo, 2004.
*
partenze\ 1
Ripetuta. Mi ripete la dinamo accesa rallentando
tra le ruote e l'asfalto un pallore omogeneo:
tutto (intorno) è rimasto. Non mi sento,
né poco né tanto, pedalo.
Lo volevo
(e non posso), restare e non posso
altrimenti tornare -quando andavo alle medie
facevo casa/scuola senza mani, le mattine più fredde-
questa notte tagliente ripete i contorni,
ostacola il buio. Mi precede il ricordo
in attesa, pedalo.
*
partenze\ 2
La notte svesto il gelo penetrato
tra una pedalata e l'altra, vado a dormire. Questa
quasi credevo ad una riconciliazione
scoprendoti dal finestrino -a menoquattrosottozero
anche la macchina è un'esigenza e il mio eroismo spicciolo
avrebbe suscitato solo i soliti malanni- Invece
io ti appartengo,
tu (tellina valle) mi rimani faticosamente
ostile lungo qualche sbavatura dei tuoi fianchi, nella fretta
di trovarti al plenilunio ancora assorta. Anche questa
notte mi svesto e non ho più
gli orecchini da impigliare nel maglione.
*
una dei tanti anch'io [1]
. . .
(Dio, Dio, Dio… una volta c'ero anch'io tra le tue pecore…)
Non c'è ragione, Dio, non c'è motivo
per cui tu non esista. Infatti
tu ci sei, ma io?
E se non c'è, Dio, non c'è
che tenga, se non esiste, Dio,
se non risponde al nome che gli diamo?
Se Dio non c'è, non posso nominarlo, né fare a meno di tentarlo.
. .
Sostengono che senza segreti, la mia, non sia
un'esistenza libera: devo nascondermi di nuovo, nascondermi
proprio come dio
come dio
come dio
che s'è ammazzato - pare- suicidato in corsa
perché non lo cercassi più.
Ma insisto a credere che possa in qualche modo ritrovarmi.
*
Di tutto quello che mi tocca, che mi è toccato
in sorte e che verrà, ti prego - quando esisti- liberami
dalla pigrizia: non sono pigra, io, non sono stata mai seduta
e senza iniziativa. Per questo adesso non la merito,
ché so affrontare danni ben peggiori, compreso il tuo via vai
e il fatto che mi vuoi ma non ci sei.
E se ci sei -speriamo- facciamo questo gioco:
io smetto di nasconderti, tu buttami di nuovo a capofitto nella vita.
*
/giugno/ lato b
Mi sento tutta l’umidità dei prati a notte fonda,
(ad abitare vicino all’Adda si è fortunati d’estate)
dorme anche il cane della vicina.
Salgo le scale a luci spente senza nessun rumore perseguibile
dai miei, apro la porta lentamente come tante volte, invece
è come aprire la portiera di una macchina che è stata ore al sole:
- nessuno ha la prigione che si merita -,
e devo dirlo adesso, a qualcuno almeno,
che la mia non è dorata e ha sempre troppo per restare.
Andarmene o rinchiudermi.
*
/ottobre/ millenovecentonovanta
sei
Nonostantetutto e nonostante
questo non sia tutto, sento
d’amarti senza perfezione adesso, sento
d’amarti senza protezione e quasi
senza il mio permesso.
*
Mi chiedono di scegliere tra te e un normalissimo
esister quotidiano
di cose conosciute assai fedeli e mie.
Rimango stupefatta ad osservare mentre ingoiano
l’anestesia
prima che sia (e poi l’analgesico del dopo).
da: A.A. V.V., Aperitivo con Marta, Ed. Clandestine, Marina di Massa, 2005.
sigla
Alla resa dei conti la nuda verità non fa paura.
Se fa paura è quando la si porta in tasca
e ogni tanto, nel cercare l'accendino,
incuriosisce al tatto.
Invece, una sigaretta dopo l'altra,
non si sa più dove finisca, forse rimane in tasca,
o quasi certamente dov'è comunque.
E me lo vedo in faccia, che sono una comparsa.,
ma ho preso l'abitudine di guardarmi allo specchio
solo per pettinarmi.
(Perdonami, magari.)
da più primavera che paranoia, Lietocollelibri, Parè (Co), 2006
r.
le parole così spesso ripetute
consumate, usate,
sempre di seconda mano
le parole che vorrei ricominciare per poterti dire - …
(ho cercato di scriverti una dedica,
una dedica d’amore)
*
(dalla sezione donne e motori)
quando tutto appare chiaramente
I ricordi sono soggettivi ed io con loro
mi confondo.
Cosa resta?
le parole che continuo a dedicarti. Parole,
soltanto parole.
*
da una visita a pasturo
Quando (finalmente) sono arrivata
la porta era già chiusa, la giovane poetessa suicidata.
Ho avuto la tua stessa età e adesso sono persino un po’ più vecchia
ma non ho ancora sciolto il nodo e ancora mi chiedo,
dopo tanti anni e le parole per conoscerti,
com’è che ti sei tolta un’esistenza
che non potevi vivere negandoti.
Perché non ribellarsi in altro modo.
*
(dalla sezione dark è la notte)
#
dark è la notte nera
in cui mi aggrappo e tiro giù tutto di peso
le ricorrenze di una vita.
prima lo schianto del metallo,
dopo il silenzio teso dell'attesa:
/blood makes noise/[2]
nera veglia notte da crepare
e uno solo il pensiero: ad occhi spalancati
qui e per sempre
*
(dalla sezione ri-soluzioni)
lecco 40, milano 80, roma 650
e mi tremano le mani a furia di parole
mentre passa una canzone dalla radio
mentre scivola la pioggia ed è la guida
che mi salva: come il motore
sento la strada e nulla vedo alle mie spalle.
Nulla o poco mi servirebbe per arrivare
per ritornare
a casa mia con te.
#
il vento. non c’è nemmeno un’ombra
di dubbio, l’estate finisce e si dissolve sempre
in un gran vento, una grande vampa di vento
appassionato e riposante. profumato.
anche quell’estate finì in un profondo caldo
che non esiste più di questi tempi,
che custodisco ancora con riguardo ed incoscienza.
Trapela, delle volte, inaspettato
*
una generazione cresciuta nel marrone
ogni generazione ha la sua generazione-tipo.
che dire della mia cresciuta nel marrone?
che dire della mia e di me che, solo dopo,
la città, mi ha resa provinciale?
che dire poi, del resto
del non avere nulla avere tutto
e della libertà a non essere
del voto all’apparenza, di tante circostanze ineludibili…
ci avessero avvisato: marrone, moquette,
televisione non crescono gli eroi!
eppure, adesso, a noi si chiede questo.
ci avessero avvisato, che so, una cartolina,
una voce autoritaria che dicesse
- è giunta l’ora d’arrangiarsi con quello ch’è avanzato
e non è rimasto molto -
invece un muro in faccia, nero, venuto su dal nulla.
Esisto e non mi soffoco
avrò una targa al merito, per forza.
(editi solo in Le voci della luna)
*
lei
Sicuramente avrebbe
voluto dirle - amore,
amore, amore, perché sei bella
e fuggi via? perché 'stanotte non sei mia? -
Perché questa è la verità che non si sa, questa
è letteratura:
bella da scrivere, meravigliosa da non vivere.
*
casa non è tornare indietro
Valtellina death valley – la dicono
e un po’ ci sono morta anch’io, ora lo so,
non esistono i ritorni.
Questa è solo una valle.
Quella è solo una valle, mentre io entro
ed esco dalle mie paure e cerco un posto
caldo per rintanarmi e prender fiato.
Ma ovunque vada avrò sempre un lontano da scontare.
tre microinediti
*
Prendimi le mani, queste due
solo queste. Senti?
È la pelle.
(1999)
*
Non mi merito nulla,
soltanto l’ho sempre saputo che a fatica si scende.
Io pensavo a salire.
(2001)
*
Certo, l’odio è vitale.
Odio sincero, così uguale all’amore.
(2005)
Nota: L’immagine di copertina della raccolta più primavera che paranoia è opera di Roberta, compagna di Silvia Monti nell’arte, nel percorso poetico ma sopratutto nella vita.
[1] Il titolo è un verso “manomesso” di una poesia di G. Caproni.
[2] (“Il sangue fa rumore” - canzone di S. Vega).