Ci sono dei film che sembrano centrati, più che intorno a un personaggio, o a una “trovata” narrativa, o a un tema, intorno a qualcosa di più sfuggente, come uno stato d'animo.
Per esempio: Unsane, un film sperimentale, girato interamente con un I-phone, di un autore, Steven Soderbergh, che ha anche realizzato prodotti hollywoodiani di successo come Ocean's eleven; ebbene Unsane è tutto centrato intorno a uno stato d'animo morboso, a un senso di ossessione angosciosa, di chi, a torto o forse a ragione, si sente perseguitato da forze oscure e potenti.
La protagonista della vicenda è una ragazza che è stata effettivamente perseguitata da uno stalker, un uomo di cui lei non ha mai ricambiato l'amore, ma che per mesi, per due anni, ha continuato a inviarle messaggi d'amore, a pedinarla, tanto da costringerla a cambiare abitudini, a cancellarsi dai social network, perfino a trasferirsi.
Ma questa reale persecuzione appartiene all'antefatto della vicenda, la quale invece inizia dal momento in cui la stessa ragazza, divenuta una professionista in carriera, in seguito al colloquio con una psichiatra alla quale aveva confidato di soffrire di fantasie di suicidio, è internata contro la propria volontà in un istituto psichiatrico, dove scopre che uno degli infermieri è proprio il suo stalker, che ancora non si è rassegnato, e che anzi approfitta del suo ruolo, della vicinanza con la sua vittima, per indurla finalmente a cedergli.
Ora, la coincidenza dell'incontro è così improbabile – essendo del tutto inverosimile che l'infermiere abbia potuto determinare quel ricovero forzato – che a lungo si è indotti a credere che ciò a cui assistiamo non sia che un'allucinazione della protagonista; che l'ossessione persecutoria dello stalker abbia prodotto in lei come per contagio un'ossessione di segno contrario, quella appunto di essere perseguitata.
È vero che a dare una parvenza realistica alla circostanza, l'autore introduce verso la metà del film un tema che sembrerebbe di denuncia: la questione dei ricoveri forzati, eseguiti in malafede, per ottenere i rimborsi delle assicurazioni sanitarie.
Ma è un tema che si colora di quella tinta ossessiva, “paranoide”, che predomina nel racconto, cosicché lo spettatore ignaro della questione, non saprebbe se prestare fede alla denuncia o considerarla anch'essa una componente fantastica.
Soderbergh anni fa aveva diretto un interessante film su Kafka.
E la vicenda della ragazza sana, o che si crede tale, imprigionata in un manicomio, dove, rifiutando la compagnia dei veri pazzi che la disgustano; ribellandosi anche violentemente agli infermieri; protestando con toni sempre più patetici la propria salute mentale, finisce per avvalorare il giudizio di chi la ritiene pazza; è una vicenda, un percorso, che possono ricordare alla lontana la storia del romanzo di Kafka Il processo, dove, come si sa, un innocente è travolto da un meccanismo giudiziario imperscrutabile e incontrollabile, fino all'esecuzione capitale.
Però se la vicenda del protagonista del romanzo di Kafka serviva anche ad analizzare l'intimità del personaggio, per esempio a individuare il suo radicato senso di colpa, la psicologia nel film di Soderbergh è a tinte forti, un po' grossolana, fumettistica, quella che si trova spesso impiegata nei cosiddetti “thriller psicologici”.
Tuttavia, la pittura d'ambiente, per esempio l'ambiente dell'istituto psichiatrico, dove il paziente è trattato con condiscendenza, con scetticismo, come se il fatto di essere malato lo mettesse un gradino al di sotto degli altri uomini; oppure il ritratto dello stalker: infido, violento, ma anche mellifluo, sottomesso alla sua vittima fino all'abiezione, sono momenti riusciti che dimostrano l'abilità, la maestria, che già riconoscevamo a Soderbergh.
E l'ottima resa visiva, ottenuta con l'I-phone, con il quale il film è stato interamente girato, sono la prova che oggi il cinema potenzialmente è davvero alla portata di tutti.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 14 luglio 2018
»» QUI la scheda audio)