La camicia di raso azzurra (scintillii
da Messico e nuvole,) i pantaloni hippy,
appoggiato al cofano di un'elegante autovettura
targata SP-Santos WA 1000
(mille come quei gol tutti così diversi e speciali),
lo sguardo di chi ha il mondo ai piedi...
Si scrive Edson Arantes do Nascimento, si legge P-E-L-É!
Eri poco più di un bambino a Stoccolma, 29 giugno 1958,
quando piangevi dopo la finale
contro i vecchi maestri di Scandinavia
(ah l'impotenza del meraviglioso gol
di Nils, quello che non sbagliava mai
un passaggio... i suoi dribbling
a liberare il sinistro dell'illusione)
consolato dai tuoi mentori in verdeoro.
Gilmar o Didi.
Con i tuoi scatti e scarti, il sombrero,
i colpi di testa riscattasti il Maracanazo
facendo felice una nazione,
dalle spiagge di Rio alle capanne
nella foresta, dall'Atlantico
al Rio delle Amazzoni,
dalle case magiche di Bahia
alle favelas, ai gravi palazzi di San Paolo.
Ordem e progresso stava scritto sulla bandiera,
anche nel 1970,quando João Saldanha
fu abbandonato al suo destino,
ma tu giocavi – dopo Garrincha, Didi,
Vavá e Zagallo – con Jairzinho,
Gérson, Tostão e Rivelino.
e per prendere il cross di Roberto,
il gatto mancino,salisti in cielo
(e Burgnich proteso con il braccio
in una fatica vana...) e colpisti di testa
in un'elevazione eterna
per affondare Albertosi e l'Italia:
tricampeón, e la Rimet per sempre
nel ventre del tuo gran Paese.
Poi venne l'America... i Cosmos
della Grande Mela, uno sgargiante
vestito rosso in una foto
con George Best, il 1281° gol, Andy Warhol
e John Huston (mai finzione fu più vera
della rovesciata di Fuga per la vittoria),
la tua parabola sportiva divenne potere
della rappresentazione, ma noi ti ricordiamo
in quel balzo alle stelle dell'Azteca,
la sospensione infinita,
il tocco sapiente di un mago
dalle formule segrete,
il pensiero imprendibile,
o come, quando poco più che bambino,
piangevi a Stoccolma, 29 giugno 1958,
non sapendo ancora dello stupore
e della bellezza che avevi donato
al tuo popolo e al mondo.
Alberto Figliolia