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Kristina Mamayusupova. L’impronta della terra natia nella formazione e nell’educazione dell’uomo-che-migra
08 Luglio 2018
 

Oggigiorno, welfarianamente parlando, alcune aree geografiche risultano essere assai attraenti per la maggioranza dei popoli del mondo come mete transitorie e/o definitive. Colmi di aspettative, gli esseri umani tendono a spostarsi, pronti ad affrontare un lungo viaggio per realizzare il progetto di vita nella “terra adottiva”, acquisendo celermente tutte le tradizioni e le caratteristiche culturali della popolazione autoctona. È una vera e propria sfida per l’uomo-che-migra saper armonizzare, nella sua formazione e nella sua educazione, il “corredo culturale” innato con quello acquisito durante e dopo l’«esperienza di migrazione» che «è/ha una “vita” in sé» (Losi, 2000: 13).

Solitamente, il soggetto che migra è «fragilizzato (…), perché non si ritrova più inserito nella cornice di elementi protettivi che hanno costituito il suo ambiente e la sua storia fino alla partenza» (ibid.: l.c.); è piuttosto orientato verso un’immediata edificazione identitaria, avvicinandosi intenzionalmente allo “standard culturale” dell’uomo autoctono trascurando, purtroppo, sia consapevolmente che non, il tesoro linguistico-culturale della terra natia, deposto negli angoli della sua inavvertibile formazione. A conclusione di tale edificazione manca, sovente, un elemento che metta in equilibrio tutta l’architettura formativo-educativa dell’uomo: la tradizione culturale della terra d’origine. L’uomo-che-migra non dovrebbe mai dimenticare l’elemento statico-dinamico della sua formazione e della sua educazione, legato ai valori del Paese d’origine: l’identità irrinunciabile (cfr. Remotti, 1996) dell’uomo che ingloba in sé l’«eredità (…), il sangue, il suolo, il radicamento nella nazione» e nella propria «famiglia» (Laplantine, 1999: 38). Occorre che nell’uomo avvenga un «processo di riattivazione dell’origine» (ibid.: 39), o meglio delle origini, geo-storiche ed educativo-famigliari, legate agli idiomi linguistici, alle musiche popolari e alle narrazioni orali, nonché alle leggende e ai miti antichi di una determinata società, per far sì che egli possa unire liberamente la sua singola identità a quella collettiva, colmando in maniera equilibrata il propio “corredo culturale” con quello accresciuto dopo il processo migratorio.

L’uomo impara a conoscere l’educazione all’ambiente (il rispetto per la natura e il prendersi cura di essa), entrando in contatto consapevolizzato con il proprio luogo di nascita. Crescendo in seno alle bellezze naturali l’uomo si forma esteticamente e abituandosi a non recare danni alla natura egli si educa eticamente. Il pensiero sulla sostenibilità naturale forgia la formazione e l’educazione dell’uomo il quale, a sua volta, diventa rispettoso nei confronti di un qualunque territorio geografico, incontrato in seguito ad una micro- o una macro-migrazione spontanea o pianificata. La micro-migrazione è una migrazione dalla durata di poche settimane o di alcuni mesi. La macro-migrazione è caratterizzata dal distacco definitivo dell’uomo dal suo luogo nativo con il consecutivo trasferimento in un altro Paese. Il pensiero geo-pedagogico dell’uomo-che-migra, si consolida in base alla sua educazione geo-politica, geo-economica, geo-sociale e geo-culturale. È fondamentale che l’essere umano riconosca e valorizzi l’impronta della terra natia nella sua formazione e nella sua educazione: premessa per qualsiasi rapporto armonioso con un territorio nuovo, pronto ad accogliere colui/colei-che-migra per un micro- o macro-periodo di tempo.

La terra natia non educa l’uomo soltanto al rispetto dell’ambiente ma anche alla cura delle relazioni famigliari e amicali che gli possano insegnare la gioia di essere amato ed essere atteso dal gruppo sociale primario e/o secondario. Purtroppo, nel mondo-che-migra, gli esseri umani non si percepiscono più come anelli della rispettiva catena genealogica ma come singoli atomi, alcuni dei quali sono persino impossibilitati nel formare molecole-nuclei famigliari. Il compito dell’educazione generale ricevuta nella terra natia dell’uomo-che-migra è proprio quello di ricondurre l’uomo stesso all’educazione civico-politica, scientifico-tecnologica, critico-morale, spirituale, sessuale e non solo, per permettergli poi di realizzare una libera edificazione identitaria nella “terra adottiva”. Sposando i valori originari con quelli acquisiti, l’essere umano potrebbe arrivare, infine, a un solido bilanciamento dell’inculturazione (l’assimilazione della cultura del gruppo d’appartenenza nella socializzazione dell’uomo, sia primaria che secondaria) con l’acculturazione (l’acquisizione della cultura di un altro gruppo etnico in seguito alla migrazione) nella propria formazione e nella propria educazione umana.

Il calore della terra natia si concentra soprattutto in casa, dove la fedeltà delle relazioni fa da sfondo alla formazione umana di tutti i membri della famiglia. A partire dalla casa paterna si sviluppano a cerchi concentrici alcune dicotomie categoriali, essenziali al fine di sapersi destreggiare nella società eterogenea della migrazione: la vita e la morte, il male e la sofferenza, il corpo e la mente, la natura e la cultura, la pace e la guerra, ecc. La Weltanschauung originaria dell’uomo-che-migra gli permette di riconoscere le peculiarità di qualsiasi popolazione autoctona per poter stabilire con essa un rapporto inter-etnico, in cui nessuna cultura prevale sull’altra, dove il dialogo dal telos conoscitivo contribuisce all’evoluzione di un’intercultura priva di conflitti.

La coscienza storica e quella geo-pedagogica dell’uomo – echi della cultura d’origine – gli riservano una stabilità identitaria che in nessun caso potrebbe sfociare in una frammentazione d’essere, dovuta al fenomeno d’ibridismo culturale. La condizione temporanea d’ibridismo culturale viene avvertita frequentemente da colui/colei che è già migrato/a in un altro Paese e che è già integrato/a nella comunità “adottiva”. In generale, si può affermare che un insieme di mentalità, valori culturali e lingue non permettono all’uomo, caratterizzato dal presente-passato migratorio, di appartenere interamente ad una o ad un’altra società, in quanto la sua avvenuta “mutazione culturale” necessita di assestamento e di riordino dei valori, sia innati che acquisiti. Coniare in sé due identità in maniera equilibrata e rispettosa è un lavoro arduo ma inderogabile, in quanto l’uomo-che-migra – frutto di un’avvenuta planetarizzazione, ossia di un «“occidentalizzazione” diffusa dei bisogni, dei consumi, degli stili di vita e dunque dei desideri e progetti per il futuro» (Corso-Trifiro, 2003: 15) – può rappresentare uno spazio d’incontro tra due o più terre geo-storico-linguistiche, divenendo soggetto bi- o pluri-lingue, bi- o pluri-culture. Non ci si dovrebbe dimenticare, però, che il «globale è in superficie, il locale in profondità» (Hannerz, 1996: 38), perciò la peculiarità dell’origine geo-storico-culturale va custodita in ciascun essere umano.

Un caleidoscopio di culture che si intrecciano nelle migrazioni, potrebbe comportare, da parte delle popolazioni mondiali, un’acquisizione del valore aggiunto, basterebbe che gli uomini-che-migrano considerassero la popolazione autoctona come un tesoro culturale inestimabile, al quale associare delicatamente le proprie ricchezze culturale-originarie. Pur migrando in un altro Stato, l’essere umano non dovrebbe mai dimenticare la propria terra natia: grembo linguistico-culturale che gli ha dato vita, preparandolo ad affrontare ogni genere di difficoltà. Un viaggio migratorio, riservando all’uomo-che-migra una serena e riflessiva esistenza, sarà forse una di queste difficoltà che nella terra natia gli parevano insormontabili.

 

Kristina Mamayusupova

 

 

Bibliografia:

CORSO Carla, TRIFIRO Ada 2003, …e siamo partite!, Giunti, Firenze

FRIAS Mercedes Lourdes 2002, Migranti e native: la sfida del camminare insieme, in Scoppa, pp. 133-147

HANNERZ Ulf 1996, Transnational Connections. Cultura, Peoples, Places, London-New York, Routldege (capp.II-VI, IX) (tr. it. R. Falcioni, La diversità culturale, il Mulino, Bologna 2001, 2003)

LAPLANTINE Fransois 1999, Je, nous et les autres (tr. it. C. Milani, Identità e meticciato, Eléuthera, Firenze 2004, 2011)

LOSI Natale 2000, Introduzione, in Losi, 2000a, pp. 7-18

LOSI Natale 2000a, Vite Altrove, Feltrinelli, Milano


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