Se per banalità s’intende anche ordinarietà, o mediocrità, oltre che mancanza di originalità, al pensiero riflettente possono aprirsi tante strade, vicoli o vialetti.
Per i nostri padri latini l’aurea mediocritas aveva una connotazione positiva, intesa come il rifiuto di ogni eccesso rimanendo nel giusto mezzo. Oggi la mediocrità o banalità rasenta la negatività divenendo anche simbolo di ignoranza e meschinità.
Il noto giornalista Beppe Severgnini ritrae così una persona media: …guarda senza vedere, sente senza ascoltare, respira senza percepire i profumi, parla senza pensare… simile in fondo al profilo del mediocre tracciato dallo scrittore e giornalista statunitense Richard Yates che parla della banalità come una malattia: …la gente ha smesso di pensare, di provare emozioni, di interessarsi alle cose; nessuno che si appassioni o creda in qualcosa che non sia la sua piccola, dannata mediocrità. È una malattia.
E chi si dedica troppo alle piccole cose a lungo andare diventa incapace delle grandi.
Per pigrizia spesso si preferisce non allontanarsi dal proprio “orticello” e si vive un’esistenza priva di fremiti e tensioni, non si accarezzano alte mete, non si vuole andare oltre, neanche col pensiero. Non si eleva lo sguardo verso un orizzonte più vasto e più luminoso.
Gian Giacomo Rousseau, filosofo svizzero di lingua francese, uno dei massimi esponenti del pensiero europeo del XVIII sec., osservava: L’anima si proporziona insensibilmente agli oggetti che la occupano e quindi sono i grandi orizzonti quelli che fanno i grandi uomini.* (g.r.)
* J.-J. Rousseau, Discorsi sulle scienze e sulle arti. Sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini, ed. BUR, 1997.