Alla luce degli ultimi avvenimenti non posso non pensare a quel quadro che aveva suscitato in me un profondo sgomento e che mi aveva indotto a spiegare ai miei studenti che il diritto alla vita è sacro e inviolabile. Quel quadro, infinite volte analizzato, si rivestiva di pietà cristiana, di fratellanza, di solidarietà, di civiltà, perché essere civili vuol dire acquisire il senso della comunanza e allungare l’occhio verso il bisognoso in un incrocio continuo di mani. “La zattera della Medusa” di Géricault appare oggi in tutta la sua crudezza e modernità. Con una struttura ascensionale sono rappresentati i corpi di coloro che chiedono aiuto e in cima un uomo di colore che tenta di richiamare l’attenzione dei soccorritori, che purtroppo non arrivarono. La scena è agghiacciante: corpi seminudi, corpi che si reggono a vicenda, corpi con la parola spenta per sempre. Basta poco per rapportarsi alla nostra realtà. Allora eravamo nel 1816 e a distanza di anni quella triste vicenda si ripete. Il nostro Mediterraneo pullula di cadaveri il cui numero si perde tra le onde travolgenti, affannate dal pianto di bambini cui la vita è negata. Tra continue risacche, il mare custodisce migliaia di corpi senza nome, mentre ogni possibilità di vita si chiude col divieto di accesso.
Eppure veniamo da una cultura dove l’accoglienza era un elemento primario. Dove è finita la nostra cultura classica pregna di valori, oggi, costantemente elusi?
Memori del nostro passato, quando eravamo costretti a lunghe file in altri porti, in terre lontane, delle sciagure che ci hanno devastato in nome della razza o di altre terribili elucubrazioni, della parola “Libertà” che tante vite e sacrifici è costata; consapevoli che nessuno, con parole o fatti, potrà mai toglierci la dignità di sentirci pari agli altri, né potrà ergersi a giudice a nome di tutti, che mai potrà cancellare in noi i principi di uguaglianza e di solidarietà (oggi purtroppo opinabili) tanto desiderati e ottenuti, che hanno cambiato il corso dell’umanità, dobbiamo uscire dal lungo letargo e riprendere in mano la nostra cultura e i suoi valori, base della nostra civiltà, consapevoli che chiunque si arroghi tali falsi diritti non lavora per la comunità, non conosce le radici della nostra storia, nefando al genere umano, avanza con prepotenza e tracotanza, privo di quel “rispetto” che ci ha reso e che ci rende uomini di sano intelletto.
L’Italia in questo momento è come una nave frantumata dal ghiaccio, che ci chiede di spezzare gli argini del disorientamento e di dialogare con il nostro passato contro chi tenta di affossarlo. La storia ce lo impone e ci richiama alla salvaguardia dei nostri valori, contro chi vorrebbe ridurci tutti ad albatri con le ali spezzate: Per dilettarsi, sovente, le ciurme / catturano degli àlbatri, marini / grandi uccelli, che seguono, indolenti / compagni di viaggio, il bastimento / che scivolando va su amari abissi. / E li hanno appena sulla tolda posti / che questi re dell'azzurro abbandonano, inetti e vergognosi, ai loro fianchi / miseramente, come remi, inerti / le candide e grandi ali. Com'è goffo / e imbelle questo alato viaggiatore! / Lui, poco fa sì bello, com'è brutto/ e comico! Qualcuno con la pipa / il becco qui gli stuzzica; là un altro / l'infermo che volava, zoppicando / scimmieggia. // Come il principe dei nembi / è il Poeta che, avvezzo alla tempesta, / si ride dell'arciere: ma esiliato / sulla terra, fra scherni, camminare /non può per le sue ali di gigante. (C. P. Baudelaire, “L’albatro” da I fiori del male)
Dobbiamo forse credere che non abbiamo più armi per difenderci e per recuperare l’identità perduta? Che nulla più ci attrae di quel corpo dell’Italia che erano i suoi valori? Che siamo albatri-naufraghi ciechi, assuefatti, sepolti da un cumulo di immondizia e da muri che si sgretolano e che malauguratamente si elevano, tristi metafore della realtà che ci circonda? Vogliamo forse che la cultura resti senza difesa nelle mani di chi da troppo tempo non riesce a capirne l’importanza vitale, quale spirito del nostro Paese?
Quando i giovani gridano e a ragione la propria rabbia, per la mancanza di una giusta collocazione; quando i lavoratori reclamano tutela e diritti; quando i nostri monumenti cadono a pezzi e crolla con essi la nostra storia e la nostra identità; quando all’essere si preferisce l’avere; quando gli interessi di uno solo o di pochi sopravanzano e di gran lunga il bene del paese; quando territori e persone, colpiti da cataclismi, vengono abbandonati; quando la scuola, senza adeguati sostegni, non assolve il compito di educatrice; quando si cerca un’informazione che sia specchio reale del paese, quando si raccoglie per strada la morte dei più deboli e il lezzo dell’abbandono, quando ci guardiamo intorno e non ci riconosciamo, allora ci rendiamo conto con amarezza che questo è il paese dell’apparenza che ha fatto dell’immagine e delle false promesse, la propria sostanza, e che bisogna con urgenza risvegliarsi, recuperare l’orgoglio e l’autostima e agire consorziati per risolvere i veri problemi , iniziando dalla povertà e dal futuro dei giovani.
È tempo, alla luce della ragione, di riascoltare ognuno la propria coscienza e di sentirci accomunati, contro subdoli cambiamenti, in un’unica e ampia famiglia, perchè nella la sorte di ogni singolo vive l’intera collettività, nell’infinito concetto di umanità.
Alla luce di quanto sta avvenendo, il “Bel Paese” oggi appare come un’utopia velata di malinconia, un mare di ghiaccio in frantumi, che per sottrarsi alla deriva, chiede a ciascuno di noi di disgelarsi.
Anna Lanzetta