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Gianfranco Cercone. “L'affido” di Xavier Legrand
01 Luglio 2018
 

C'è una semplice frase, una battuta – famosa, almeno tra i cinefili – che pronuncia un grande regista, Jean Renoir, in veste d'attore, all'interno di uno dei suoi film più celebrati e più belli: “La regola del gioco”, che potrebbe costituire un punto di riferimento per chi costruisce un racconto; e fornire un criterio di giudizio a chi, di quel racconto, è lettore o spettatore.

La battuta recita così: “La cosa terribile è che in questo mondo ognuno ha le sue ragioni”. Significa, fra l'altro, credo, che anche chi commette gli errori più madornali, o perfino i crimini più efferati, nutre in cuor suo delle ragioni per le quali le sue azioni gli appaiono giuste, o almeno ammissibili. E compito del narratore è cogliere quelle ragioni, senza per questo, naturalmente, misconoscere i torti o assolvere i crimini.

Ricordo questa massima di Renoir perché mi sembra il principio costruttivo di un film francese – al festival di Venezia ha vinto il premio per la Migliore Regia e il Premio De Laurentis per la migliore opera prima – il cui titolo italiano è L'affido, diretto da Xavier Legrand.

Si tratta del divorzio di due coniugi che, avendo avuto due figli, devono comunque restare in contatto tra loro, perché al padre è riconosciuto dal tribunale il diritto, in giornate prestabilite, di passare a prendere il figlio dalla casa della madre per passare alcune ore con lui.

Ora, se per la moglie la fine della relazione è, manifestamente, cosa certa, consolidata e ormai di per sé indolore, per il marito, altrettanto manifestamente, è invece una ferita ancora viva, all'origine di rabbie, di gelosie, e anche dei tremendi accessi di violenza di una passione frustrata che non vuole saperne di estinguersi.

Una corrente di sentimenti e di emozioni distruttive, che rovina anche il rapporto dell'uomo con il figlio, il quale infatti teme il padre, mal sopporta quei pomeriggi che è costretto a passare con lui: anche se il padre in effetti gli vuole bene, vorrebbe disperatamente ristabilire un rapporto affettivo con lui. Ma poi la passione lo acceca: lo porta a strumentalizzare il figlio per carpirgli informazioni sulla vita della madre, per intromettersi nella vita di lei, o per ferirla.

Insomma: il racconto rende evidenti i suoi torti. E quando interviene la polizia, blocca l'uomo, lo arresta durante una sua irruzione a mano armata nella casa della moglie, lo spettatore tira un sospiro di sollievo. Ma allo stesso tempo, a vederlo così sinceramente affezionato al figlio, almeno per un po' non può non simpatizzare con lui, tanto, per così dire, da volerlo trattenere per un braccio per impedirgli di commettere quegli errori irrimediabili che porteranno alla catastrofe tutti i suoi rapporti affettivi.

Ma il film di Legrand non ci permette di comprendere soltanto le ragioni del padre, ma di tutti i personaggi principali implicati nella vicenda. A partire dal giudice, che a vedersi schierati di fronte al bancone del tribunale, i due coniugi, entrambi in apparenza pacati e ragionevoli, si trova nell'imbarazzo di decidere se l'uomo sia effettivamente un violento, o se le testimonianze dei figli a suo sfavore non siano influenzate, manipolate dalla moglie.

O la pena, il disagio, il timore del figlio minore quando si trova da solo con il padre, di cui forse intuisce l'amore impotente, ma quell'amore è origine per lui di un conflitto interiore, perché non può amare a sua volta l'uomo che ha aggredito e picchiato la madre, e che tuttora la minaccia. O l'inquietudine della figlia adolescente che, mentre canta al microfono sul palco, in una sala da ballo, durante la festa per i suoi diciotto anni, frugando con gli occhi nell'oscurità della sala, percepisce che la sua festa è funestata dalla presenza del padre.

Per Renoir, dicevo all'inizio, ognuno ha le sue ragioni. Ma quelle ragioni non sono soltanto logiche, razionali. Sono innervate di sentimenti, di stati d'animo. E forse la principale virtù del regista, in questo caso, è rendere evidenti, palpabili, gli stati d'animo di tutti i personaggi, grazie alla qualità degli attori, ma anche all'uso sapiente delle immagini.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 30 giugno 2018
»» QUI la scheda audio)


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