C'è un modo di pensare, radicato, a volte, anche negli intellettuali e negli artisti, per il quale le persone più povere, che vivono in ambienti degradati, o perché sono ignoranti, o perché prevalgono in loro i moventi primari della sopravvivenza, avrebbero psicologie elementari, tutte d'un pezzo, che non meriterebbero tanti approfondimenti.
Ora io non giurerei che i fratelli D'Innocenzo, autori di un film peraltro interessante, presentato al festival di Berlino, e intitolato: La terra dell'abbastanza, siano affetti da questo luogo comune. Forse una certa semplificazione dei personaggi del loro film rientra nelle consuetudini del film “d'azione”. Fatto sta che i due ragazzi delle borgate romane protagonisti della vicenda, che investono con la macchina e uccidono un loro coetaneo, non sembrano nemmeno tentati di prestargli soccorso. E quando il padre di uno dei due responsabili scopre che la vittima era un tale inviso ai potenti boss locali, e pensa di sfruttare quell'omicidio involontario per arruolare il figlio nel loro clan, questi asseconda senza resistere per niente l'iniziativa del padre, e se ne dimostra ben presto soddisfatto. E l'amico, che la notte del fattaccio era effettivamente lui al volante dell'automobile, che si sente defraudato del suo merito, per ottenere di essere ammesso nel clan, accetta immediatamente di commettere, su ordine dei boss, un omicidio. Evidentemente i fratelli D'Innocenzo vogliono raccontare di un ambiente in cui la criminalità è tanto endemica da essere percepita come un dato naturale. Ma un individuo non dovrebbe mai essere considerato soltanto come la conseguenza di un ambiente. E nella totale inerzia con cui i due ragazzi – prima di allora, sembra di capire, incensurati – si lasciano trascinare fino ai crimini più gravi, più feroci, e più pericolosi per la loro stessa incolumità, si percepisce negli autori un partito preso, un moralismo forse un po' grossolano: che cioè i due sarebbero in partenza integralmente corrotti, quasi senza contraddizioni.
È vero, però, che nella seconda parte del film, in uno dei due affiora il senso di colpa, nella forma di un malessere psicosomatico. E che anzi proprio quel senso di colpa è probabilmente causa della tragedia in cui sfocia il racconto. Ma è un elemento un po' sovrapposto in extremis al personaggio.
Tuttavia, malgrado questo semplicismo dell'impianto drammaturgico, La terra dell'abbastanza è un film che ha dei pregi e cioè dei momenti di verità.
Basti considerare come è efficacemente suggerito all'inizio, con un silenzio agghiacciante, l'insorgere della disgrazia, dell'incidente automobilistico, nella serata ordinaria dei due ragazzi; la morbosità adolescenziale con cui uno dei due assiste ai particolari inediti della realtà criminale che via via gli si prospetta: come lo stupro di una ragazza che deve essere avviata alla prostituzione, o il cadavere di un uomo appena ucciso; la timidezza da neofiti con cui partecipano, un po' defilati, a un banchetto dei boss; e, più in generale, la naturalezza che i due bravi interpreti, Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti, conferiscono ai loro personaggi.
Dunque: un film discutibile, ma interessante.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 16 giugno 2018
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