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Pena di morte: Bravo Prodi, ma ora non ti fermare 
Intervista a Matteo Mecacci, rappresentante radicale all’ONU
09 Gennaio 2007
 

 

L’impiccagione di Saddam Hussein ha scosso il dibattito sulla pena di morte, e non solo in Europa. Alle Nazioni Unite, è proprio l’Italia che ha ripreso con più insistenza il tentativo di fare riaprire il dibattito in sede d’Assemblea Generale. Già il 19 dicembre, quindi 10 giorni prima dell’esecuzione del dittatore iracheno, l’Italia si era fatta promotrice di un documento firmato dai rappresentanti di ben 85 paesi.

Poi, all’entrata col nuovo anno dell’Italia nel Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro, l’ulteriore accelerazione del governo italiano con la richiesta da parte dell’ambasciatore all’Onu, Marcello Spatafora, al presidente di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, il russo Vitaly Churkin, che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite riprenda in esame il tema della moratoria universale della pena di morte sulla base proprio del documento presentato a dicembre.

Ma Roma andrà fino in fondo? Oppure ai primi ostacoli, ai primi segnali di fastidio da parte dei “grandi”, anche il governo Prodi tirerà il freno ai suoi diplomatici?

Del tema della pena capitale ritornato scottante a livello internazionale ne parliamo con Matteo Mecacci, che a New York ha un punto di osservazione strategico. Mecacci fa da “vedetta”, da guardiano dei Diritti umani al Palazzo di Vetro. È infatti il Rappresentante all’ONU del Partito Radicale Transnazionale che da oltre un decennio segue da vicino i lavori delle Nazioni Unite, in particolare sui temi del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per cittadini e popolazioni che ancora oggi nel mondo non ne possono godere. In particolare Mecacci, con altri Radicali trasnazionali come Marco Pannella ed Emma Bonino, ha dato voce in questi anni all’interno delle Nazioni Unite a minoranze oppresse e ad oppositori politici in Cina, Vietnam, Birmania, Corea del Nord e nel Mondo Arabo.

 

Prima di tutto, Marco Pannella come sta?

«L’ultima iniziativa italiana che è stata presa nuovamente in sede delle Nazioni Unite, deriva da una iniziativa politica di lotta nonviolenta che è stata intrapresa da Marco Pannella a partire dal 27 dicembre del dicembre scorso, con uno sciopero della sete e della fame a seguito della conferma della condanna a morte di Saddam Hussein. Un primo obiettivo era di cercare di fermare quella esecuzione e di cercare di trasformarla in una condanna al carcere di 30 anni, poi questa iniziativa si è convertita in un obiettivo per la campagna storica dei radicali che va avanti da oltre dieci anni, cioè per una richiesta alle Nazioni Unite dell’adozione di una moratoria universale sulla pena di morte. Marco Pannella ha sospeso lo sciopero della sete, non quello della fame, da due giorni e nella giornata di ieri (giovedì) è stato ricoverato in un ospedale romano per un sospetto di blocco renale derivato dallo sciopero della sete. Adesso siamo in attesa di conoscere gli esiti delle analisi sulla sua salute. Occorre ricordarlo, queste iniziative nonviolente hanno un costo per chi le compie al di là delle facili ironie che si fanno spesso sugli scioperi della fame e della sete di Pannella».

 

Da New York facciamo gli auguri a Pannella. Ma ora parliamo dell’iniziativa italiana all’Onu. È partita il 19 dicembre, quindi ben prima l’esecuzione di Saddam Hussein. Insomma l’Italia si è svegliata e prima di altri. Lei, che dentro l’Onu osserva le azioni di tutti i governi sui diritti umani, ecco come giudica l’azione italiana di questi ultimi mesi?

«L’azione italiana degli ultimi giorni è positiva. Ci sono state prese di posizioni al massimo livello da parte del presidente del Consiglio Prodi, che è anche rimasto in contatto diretto con Pannella e, in parte, anche da parte del Ministro degli Esteri D’Alema. I mesi precedenti hanno portato poi alla presentazione del documento del 19 dicembre, che però va ricordato non è un testo di risoluzione. Ecco non è quello che aveva chiesto la scorsa estate il Parlamento italiano, cioè la presentazione di una risoluzione già in questa Assemblea generale dell’Onu, ma si tratta di una dichiarazione che è stata presentata a nome di questi 85 paesi che impegna questi a presentare in futuro, senza specificare quando, questa risoluzione sulla pena di morte. Ora questa campagna va avanti da oltre 12 anni, il primo tentativo fu fatto nel 1994, da allora oltre 45 paesi hanno abolito la pena di morte, esiste di fronte a tutti ormai la consapevolezza che c’è una maggioranza di paesi membri dell’Onu che hanno abolito o non mettono più in pratica la pena di morte, continuare a prendere impegni per il futuro non ha più senso. Non ha più senso in un momento in cui, anche l’esecuzione di Saddam mostra una recrudescenza della violenza e delle scelte anche da parte degli Stati di rispondere alla violenza terroristica e agli attentati con la violenza…»

 

Ma che cosa dovrebbe fare quindi l’Italia adesso in ambito Onu che non ha fatto finora?

«Quello che il governo sembra si stia impegnando a fare è di chiedere o la riapertura del dibattito all’interno dell’Assemblea generale sul tema dei diritti umani con la presentazione della risoluzione o, meglio ancora, la richiesta della convocazione di una sessione speciale da parte dell’Assemblea generale, come sono state fatte negli ultimi anni, per esempio sull’Aids, in occasione dell’anniversario della fine del nazismo, sulla questione ambientale. Ecco ci sono delle sezioni speciali dell’Assemblea che vengono convocate per affrontare un tema che si ritiene riguardi tutta l’umanità. La questione della pena di morte rientra sicuramente in questo ambito, non è certo una questione, ormai che siamo giunti nel 2007, che può continuare ad essere considerata come un tema marginale, la questione del rispetto della vita e del non diritto degli stati a togliere la vita ai loro cittadini nonostante abbiano questi compiuto dei crimini orrendi, è una questione di civiltà. Occorre che le Nazioni Unite, dopo 60 anni, possano riuscire finalmente ad esprimersi. Non ha più senso continuare a rimandare quando si ritiene che le questioni dei diritti umani debbano essere comunque centrali nella nostra politica estera».

 

Vorremmo capire meglio certe posizioni italiane e certi atteggiamenti dei radicali. Ancora dal suo partito, che ricordiamo fa parte del governo Prodi, partono accuse pesanti, come quella di Roberto Villetti, presidente dei deputati della Rosa nel Pugno, che giovedì metteva in guardia il governo da non usare l’Unione europea come scusa per non andare avanti, o lo stesso Pannella che ha dichiarato che nel ’99 all’Onu non si riuscì per colpa di D’Alema, allora capo del governo… Ma quali sarebbero, secondo voi, le motivazioni che accelerano e arrestano l’azione italiana all’Onu su questo tema della pena di morte?

«Guardi, c’è stata una netta presa di posizione di Prodi. Francamente a questo punto non ha molto senso continuare a recriminare su quello che è stato fatto o non è stato fatto nel passato. Anche il ministro degli Esteri D’Alema si è espresso a favore di questa posizione, quindi occorre procedere. In passato, spesso, per valutazioni di opportunità che io definirei meglio di opportunismo, si è ritenuto che affrontare la questione della pena di morte potesse essere un tema che dispiaceva ad alcuni paesi, magari agli Stati Uniti, o magari ancora di più a paesi come l’Iran o la Cina, rispetto ai quali gli accordi economici sono molto importanti, e quindi c’è una tendenza abbastanza naturale della nostra diplomazia e dei nostri governanti a non fare battaglie ideali quando queste possano comportare anche un costo politico. Però questo ha anche un costo positivo che vale la pena rischiare, come dimostra l’attenzione che tutta la stampa internazionale ha avuto per l’iniziativa presa dall’Italia. A questo punto occorre non lasciare passare il tempo e far diminuire l’attenzione su questo tema, ma occorre andare ad incassare un risultato che non è per l’Italia che ha già abolito la pena di morte, ma un risultato per tutti quei paesi dove ancora la pena di morte viene applicata e dove una presa di posizione forte da parte dell’Onu avrebbe sicuramente l’effetto di mettere sul chi va là, sulla difensiva tutti quei paesi che, a differenza degli Stati Uniti, usano la pena di morte anche come strumento di repressione politica e sociale di tutti coloro che si oppongono a regimi dittatoriali o comunque a regimi che non garantiscono il rispetto dei diritti umani fondamentali».

 

L’Italia dice che sarà fondamentale il ruolo europeo. Ci sarà tra due settimane una riunione a Dresda dei ministri dell’Ue in cui discuteranno sull’atteggiamento da tenere all’Onu sulla pena di morte. Non ci saranno problemi dai 27 o teme che, come nel ’99, un tentennamento potrebbe far arenare tutto?

«L’importante è chiedere il sostegno di tutti i paesi europei, importantissimo, e sarebbe gravissimo, uno scandalo se qualche paese europeo si differenziasse da questo tipo di iniziativa. Ma poi l’importante è non farsi legare le mani da nessun paese europeo che ritenga di non procedere su questa iniziativa».

 

Quindi anche se l’Europa frenasse, l’Italia dovrebbe comunque andare avanti?

«Esatto. Anche perché esistono molti paesi da altri continenti che sarebbero ben lieti, se coinvolti, di portare avanti questa campagna. Basti pensare al Messico, alle Fillippine, al Sud Africa. Questa non è una campagna che riguarda solo i paesi occidentali, che l’Europa fa per diffondere i proprio valori negli altri continenti, ma è una battaglia trasversale, che riguarda tutta l’umanità e che può vedere molti altri paesi di altri continenti protagonisti. Occorre semmai coinvolgere e allargare anche al di fuori dell’Europa coloro che vogliono portare avanti questa iniziativa per affermare che i diritti umani sono un valore universale e non appunto prerogativa di un solo continente. Quindi se ci sono dei paesi europei che hanno dei dubbi, questi non possono fermare l’iniziativa di paesi che da altri luoghi del mondo ritengono che questa sia una priorità. Francamente non avrebbe senso che l’Europa ponesse ostacoli ad altri paesi che proponessero risoluzioni a favore dei diritti umani per una moratoria universale sulla pena di morte».

 

Lei che da qualche anno osserva dall’Onu l’Italia su questi temi, che voto assegnerebbe al governo Berlusconi? E a quello Prodi?

«Il governo Berlusconi non è riuscito a portare avanti questa campagna. Invece, gli eventi recenti del governo Prodi lo dimostrano, pur tra molte difficoltà, siamo ora giunti ad un punto molto vicino alla presentazione di questa risoluzione. Quindi per il momento sicuramente il governo Prodi ha fatto meglio, e speriamo che vada avanti. Ha fatto meglio del governo Berlusconi dove, nonostante le sollecitazioni anche del Parlamento e anche durante la sua presidenza dell’Ue nel 2003, l’iniziativa per la presentazione della moratoria sulla pena di morte non è stata portata avanti».

 

Stefano Vaccara

(da America Oggi, 7 gennaio 2007)


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