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70° Yom HaAtzmaut, anniversario della fondazione di Israele 
di Giacomo Ferrari, Presidente dell’Associazione Italia-Israele di Vercelli, Novara e Casale Monferrato
23 Aprile 2018
 

Quest’anno ricorre il 70° anniversario della fondazione dello Stato di Israele, il 14 maggio 1948. So benissimo che si tratta di una celebrazione difficile e poco popolare, specialmente in questo periodo in cui le tensioni per la striscia di Gaza sono altissime, peggiorate da alcuni video che mostrano un profilo non eccellente di alcuni soldati israeliani, in cui la tensione per ciò che accade in Siria rischia di coinvolgere anche la sicurezza di Israele per alcuni interventi iraniani e, forse, anche le tensioni nel Mediterraneo per il giacimento di gas vicino a Cipro finiranno per rendere difficile le convivenze in quell’area. Ritengo, quindi, di affrontare la celebrazione facendo gli auguri di buon compleanno allo stato di Israele, affrontando con la maggior obiettività possibile alcuni punti caldi dei diversi dibattiti. Iniziamo con le accuse più crudeli, quelle che eguagliano il sionismo al nazismo, incolpando il sionismo di aver spodestato gli arabi palestinesi dalle loro sedi tradizionali. Il sionismo non è un movimento coloniale, ma soltanto la normale aspirazione di un popolo che le vicende della storia hanno disperso per il mondo di recuperare una sua patria di origine, che, per altro, non ha mai visto la scomparsa completa degli ebrei, ma solo un assottigliamento della popolazione ed una mescolanza con gli arabi, almeno fino alla caduta dell’impero ottomano. Ci sono diversi romanzi che ricordano quel periodo di convivenza, ma ricordo, per tutti, quelli di Benjamin Tammuz da parte israeliana e Susan Abulhawa per parte palestinese. I popoli che aspirano ad una “patria”, pur cercando di crearla con metodi diversi, sono molti. I Curdi stanno combattendo per ricavare una loro struttura statale nei territori che già occupano; i Rom hanno avanzato, anni fa, la richiesta all’ONU di avere un Romanistan; Catalani (7,5 milioni), Kossovari (albanesi 1,6 milioni) hanno attuato referendum che i paesi nei quali sono inclusi non riconoscono come validi.

Israele nasce nel 1948 in applicazione della risoluzione dell’ONU n. 181 del 29/11/1947, che definisce la questione palestinese proponendo un “Piano di partizione” del territorio in due parti, una assegnata a Israele e l’altra agli arabi palestinesi. La decisione fu respinta da molti stati arabi, includendo le comunità palestinesi; fu altresì respinta da una parte degli ebrei nazionalisti, ma fu approvata da molti dei sionisti. Questa reazione è all’origine dello squilibrio evidente tra le parti. Lo Stato d’Israele nasce da quel gruppo che ha approvato la risoluzione dell’ONU, mentre le comunità palestinesi che l’hanno respinta hanno fatto ricorso alla Corte Internazionale, ma non hanno approntato politiche alternative quando il ricorso è stato respinto. Certo che nello stato d’Israele è tuttora presente un gruppo politico che eredita le posizioni di quei nazionalisti e che sono responsabili di un progressivo processo di colonizzazione. Che fare? C’è stato chi ha tentato di ridimensionare questo movimento; Sharon ha demolito alcuni degli insediamenti, ma questo non è stato utile ad aprire una strada di mediazione con gli arabi palestinesi.

La domanda da porsi, quindi, è: coloro che equiparano il sionismo e lo Stato di Israele alla peggiore delle occupazioni e parlano addirittura di genocidio dei palestinesi ritengono, come i palestinesi, che lo stato d’Israele vada cancellato dalla carta geografica? Non mi aspetterei una risposta, ma voglio solo sottolineare che il sostegno alla causa palestinese, secondo i documenti, significa negare la possibilità di esistenza di Israele. Ammettiamo di avere superato questo scoglio, chiediamoci che cosa è successo in questi 70 anni, se cioè la presenza di Israele sia stata così negativa o se qualche merito ci sia. Israele ha costruito una struttura statale moderna, con elezioni ed un parlamento in cui gli arabi che sono cittadini israeliani hanno i loro rappresentanti (mussulmani, cristiani e drusi). Israele è tecnologicamente avanzato in molte aree tecniche, mediche, agricole, ambientali ed è in grado non solo di competere, ma anche di cooperare con molti paesi altrettanto avanzati in occidente e, perché no, anche in oriente. Esempio brillante è il SESAME (Synchrotron-light for Experimental Science and Applications in the Middle East) che ha sede ad Allan, in Giordania, e vede la collaborazione di Autorità Nazionale Palestinese, Cipro, Egitto, Giordania, Iran, Israele, Pakistan e Turchia.

Qualcuno obietterà che se i palestinesi avessero avuto uguali opportunità avrebbero potuto creare lo stesso quadro di modernità e sviluppo, ma questa non è una buona ragione per sostenere chi vuole distruggere questa realtà, anziché cooperare per una crescita comune. Vi sono aspetti della politica israeliana che a volte possono spiacerci, come gli eventi di cui abbiamo parlato all’inizio, ma quale stato ci soddisfa pienamente in tutte le sue scelte? Disconoscere e criticare una linea politica è diverso da coinvolgere in un giudizio pesante tutta una nazione. Il fatto che in Italia ci sia la mafia non fa dell’Italia uno stato mafioso, e ci addoloriamo quando ci sentiamo rinfacciare questo stereotipo. Lo stesso vale per Israele; il fatto che vi siano frange, anche cospicue, di nazionalisti non implica che lo stato in sé sia nazionalista o, come peggio si sente dire, nazista. Quest’ultima poi è un’offesa vera e propria che disconosce una parte della storia. Perché allora i soldati sparano ai giovani civili palestinesi? Perché processano una ragazza araba di 16 anni per aver schiaffeggiato un soldato? Perché conducono perquisizioni e vere e proprie intimidazioni? La situazione del cittadino israeliano e delle strutture statali è quella di chi vive in mezzo ad una popolazione ostile, almeno nella stragrande maggioranza, che non ammette la presenza della struttura statale israeliana e la considera, nonostante le diverse sentenze dell’ONU e della Corte Internazionale, illegale. Non è, quindi, un rapporto di parità tra chi vive e lavora all’interno di una struttura statale stabile e chi protesta contro tale struttura, ma tra chi accetta tale struttura e ne accetta il dibattito interno e chi non la riconosce e ritiene qualunque atto, violento o no, un atto giusto. Tutti sono potenzialmente dei nemici. A questo si deve aggiungere che mescolare combattenti e civili, in modo che questi ultimi facciano da scudo, è una modalità adottata già da Saddam e da altri prima di lui, fin dall’epoca delle crociate. Questo fa sì che qualunque movimento sospetto genera reazioni, certamente a volte esagerate, ma motivate.

Per concludere, da un lato Israele ha costruito una struttura moderna, democratica e capace di gestire la complessità sociale ed economica di uno stato moderno, pur vivendo in condizioni di guerra endemica e permanente. Perciò, a meno che non vogliamo che tutto venga distrutto, diciamo “TANTI AUGURI ISRAELE!”. La via da seguire è quella e tutti ci auguriamo che anche gli oppositori prendano la stessa strada di costruzione piuttosto che di distruzione.


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