Il 25 aprile rappresenta uno dei momenti che dovrebbero segnare una pietra miliare della nostra storia. Ricorda la liberazione da una dittatura, la fine di una guerra feroce e l’inizio di una vita nuova per tutti gli italiani. E, proprio in questa occasione, ormai da alcuni anni, parte un pullman dalla Valtellina per commemorare in modo speciale un frammento di storia europea. Il viaggio dura solo due giorni, ma rappresenta un’immersione emotiva forte che lascia ricordi indimenticabili e spinge ad approfondire gli avvenimenti di quella primavera del 1945. Ma torniamo al viaggio. Il giorno 24 aprile è una specie di vigilia. Si arriva a Monaco di Baviera, città quasi sorella di Milano per numero di abitanti (circa 1 milione e 300.000), luogo affascinante per le istituzioni culturali, per il verde, per le piste ciclabili (con un invidiabile numero di km a disposizione in città) per la bellezza dei suoi musei e del suo centro storico. Eppure, anche in un giardino così bello, è potuto germogliare uno dei fiori più neri della nostra storia recente. A Monaco è nato il movimento nazionalsocilista, una delle più feroci manifestazioni di barbarie del XX secolo. È per questo che Adolf Hitler, due anni dopo aver preso il potere, conferì a questa città il titolo di “Capitale del movimento nazista”.
Dalla Valtellina arriveremo a Monaco nel pomeriggio. Avremo a disposizione il tempo per percorrere con calma la città fermandoci nei punti che raccontano, in modo concreto, i 12 anni del nazismo. La prima tappa sarà in pieno centro, alla Feldherrnhalle (un’imitazione della Loggia dei Lanzi di Firenze). Qui ricorderemo il primo tentativo di golpe - fallito - tentato da Hitler nel 1923. Da qui parte la Briennerstrasse, dove si trovava il Wittelsbacher Palais, la famigerata sede della Gestapo, luogo di efferate torture e di sofferenza. È nel Wittelsbacher Palais che vennero imprigionati e interrogati – tra gli altri – il padre gesuita Rupert Mayer (oggi beato) e i membri della Rosa Bianca, un gruppo di giovani studenti universitari antinazisti. Si arriva poi alla Königsplatz, il vasto piazzale dove avvenivano le adunanze di massa dei nazisti, quasi la celebrazione di una tetra e solenne liturgia pagana. È in questa Piazza Reale che il 10 maggio 1933, di notte, alle 23:30 circa, decine di migliaia di universitari (studenti e professori) diedero orgogliosamente alle fiamme i libri ritenuti “non tedeschi”. Un’altra tappa sarà quella nel cuore del centro storico di Monaco, davanti al Vecchio Municipio (l’Altes Rathaus). In una bella sala gotica del Vecchio Municipio, la sera del 9 novembre 1938, Joseph Goebbels, fanatico ministro della propaganda, tenne un discorso isterico e incendiario che – con la cosiddetta Notte dei cristalli – segnò l’inizio di una campagna brutale di aggressione contro gli ebrei. Ma un filo rosso che si dipanerà lungo il percorso sarà il doloroso ricordo della Rosa Bianca, quell’eroico sparuto gruppetto di studenti dell’università di Monaco, che cercarono – semplicemente distribuendo dei volantini – di svegliare le coscienze contro il nazismo. La loro azione, clandestina, non durò neppure un anno: dal maggio del 1942 al febbraio del 1943. Il 18 febbraio 1943, i due fratelli Hans (24 anni) e Sophie (21 anni) Scholl vennero arrestati in piena università, dopo essere stati segnalati da un bidello che li aveva visti mentre gettavano dei volantini (il volantino n. 6) nel cortile interno. I fatti, nella loro assurda tragicità, si susseguirono velocemente. Arresto e interrogatorio da parte della Gestapo. Tre giorni dopo, la mattina del 22 febbraio 1943 si celebra il processo a Monaco nell’aula 216 del Palazzo di giustizia. Hans e Sophie, i due giovani studenti, insieme a un loro amico, sono condannati a morte per “tradimento contro lo Stato e il Führer”. Già nello stesso pomeriggio verranno tutti e tre ghigliottinati nel carcere di Stadelheim, a sud di Monaco. Noi li ricorderemo, anche con la visione di un film, lungo la via del ritorno.
Dopo questa vigilia, arriveremo preparati al 25 aprile. Quello sarà dedicato interamente alla visita del campo di concentramento di Dachau, una cittadina poco più grande di Sondrio, che si trova a soli 15 km da Monaco. Insieme con il campo di sterminio di Auschwitz (Polonia) e di Mauthausen (Austria), Dachau rimane nell’immaginario collettivo il simbolo dell’orrore dei campi di concentramento nazisti. Visiteremo un luogo che ha visto morire tra sofferenze e crudeltà di ogni genere quasi 50.000 persone. Questo viaggio, organizzato con la Sinferie, si ripete ormai regolarmente ogni anno e rappresenta un modo per non dimenticare, per tenere accesa la lampada dell’umanità, per far sì che tutto questo orrore (in tutto il mondo) non avvenga MAI PIÙ – come ammonisce la grande scritta che si trova appena entrati nel campo di Dachau. E recarsi a Dachau significa, almeno per me, ricordare anche tutti gli altri orrori del Novecento, Hitler e colleghi in primis, e poi Stalin, Mao Tse-tung, Pol Pot e, purtroppo, tanti altri ancora. Il MAI PIÙ dovrebbe valere per sempre e per tutti. Per me, poi, sarà l’occasione di ricordare mio zio Renzo. Renzo Cavallotti era nato a Morbegno il 21 novembre del 1922. Ha soltanto diciannove anni, quando, nell’ottobre del 1942, risponde alla chiamata della patria. Il caporal maggiore Renzo Cavallotti non rivedrà più la sua amata Morbegno, la sua adorata mamma Corinna. Morirà, come recita il freddo linguaggio delle carte, “per cause di guerra”, il 31 gennaio 1946 a Milano, all’Ospedale di Vialba, dopo aver assaggiato l’inferno del campo di concentramento iugoslavo di Borovnica, maltrattato bestialmente. Verrà sepolto al Campo 12 (il campo dei militari) del cimitero di Musocco. A Morbegno i suoi resti torneranno nel gennaio del 1957. Renzo Cavallotti era fratello di mia mamma Doris, uno zio che mi dispiace di non aver potuto conoscere. Qualcuno si chiederà: perché allora non vado in pellegrinaggio a Borovnica, oggi in Slovenia? Perché là non resta più nessun ricordo del campo di concentramento. Hanno cancellato tutto. Noi, a queste persone umiliate, trattate peggio delle bestie e spesso uccise, dobbiamo almeno il ricordo.
Renzo Fallati