La mostra di Filippo De Pisis (Ferrara, 1896 –Brugherio, Milano, 1956) al Museo “Ettore Fico” di Torino (aperta fino al 22 aprile 2018), a cura di Elisa Camesasca, Paola Campiglio e Maddalena Tibertelli De Pisis, ne analizza la pittura in riferimento alle sue fonti culturali, dall’influenza dei capolavori della storia dell’arte a quella delle opere letterarie e poetiche. L’evoluzione dell’artista ferrarese, infatti, si compone di grandi passioni e dell’analisi delle opere dei maestri studiate durante i suoi numerosi viaggi a Milano, Roma, Venezia, Parigi e Londra.
La tematica di De Pisis è costituita principalmente da vedute cittadine, nature morte, fiori e, più raramente, ritratti o interni. Egli dipinge «dal vero», ma più che ricostruire la natura secondo un ordine mentale, come la grande maggioranza dei suoi contemporanei, De Pisis preferisce cogliere le impressioni fugaci. Se quasi tutti gli artisti europei si riallacciano a Cézanne, De Pisis si ispira piuttosto a Monet e all’Impressionismo più autentico. La sua posizione è dunque molto diversa da quella del “Novecento Italiano”.
L’impressionismo di De Pisis non è tuttavia una meccanica ripresa di una concezione ormai lontana negli anni; è piuttosto un modo di vedere la realtà contemporanea secondo il principio impressionista che è valido in ogni epoca.
De Pisis (il cui vero nome era Luigi Tibertelli; lo pseudonimo vuole forse indicare una lontana origine familiare o riallacciarsi eruditamente a Nicolò Pisano, prima di giungere alla pittura, è scrittore e poeta: anzi nel 1947, a meno di dieci anni della morte, diceva a un visitatore: «si ostinano a considerarmi un pittore, ma in realtà sono meglio come poeta». E certo, indipendentemente dalla sua opinione, c’è sempre in lui uno scambio continuo fra pittura e poesia.
Uomo colto, raffinato, curioso di sapere e di conoscere, De Pisis vive nella sua città, Ferrara, la breve intensa stagione metafisica fra il 1916 e il 1917. Poi si reca a Roma, entrando in contatto con poeti e intellettuali e studiando nei musei. Nel 1925 è a Parigi dove resterà per quindici anni, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. È a Parigi, con la sua tradizione, con la presenza viva dei quadri impressionisti, con la possibilità di verificarne direttamente sul vero la validità, con la mobilità delle sue atmosfere, che suscita in lui l’estro pittorico. E, dopo Parigi e un breve soggiorno a Milano, Venezia a partire dal 1943; perché Venezia è un a suo modo, città impressionista. Qui riscoprendo il valore degli accostamenti cromatici di un Tiepolo, nascono alcuni fra i più alti panorami di De Pisis, quasi in una rinascita moderna del vedutismo di un Canaletto o di un Guardi.
A Parigi, come a Milano o a Venezia, la pennellata di De Pisis è veloce, a tocchi cromatici, lasciando spesso scoperta la tela, nell’ansia di rendere con immediatezza la sensazione provata di fronte a un angolo nascosto e segreto o a un panorama celebre, sempre con la stessa freschezza con lo stesso entusiasmo come se tutto fosse visto per la prima volta, sempre con la stessa foga creativa che lo conduce a dipingere continuamente quadri innumerevoli, come innumerevoli sono i nostri momenti spirituali.
La rassegna torinese riunisce 150 opere tra dipinti e disegni, propone alcuni dei capolavori dell’artista: da Natura morta con quadro di El Greco, 1926 (qui proposto in copertina, ndr), lavoro che esplicitamente dichiara la fonte d’ispirazione; la tela onirica La grande conchiglia, 1927, e Natura morta aerea, 1931. Ogni opera è spiegata in riferimento ai suoi interessi culturali, incluse le poesie, la letteratura e anche la saggistica: perché De Pisis, dopo aver scritto prose, liriche e poesie, raccolte nei Canti della Croara nel 1916, fu anche autore del saggio La città delle 100 meraviglie, opera che riflette i suoi caleidoscopici interessi per la cultura.
Maria Paola Forlani