Un amico mi chiama con tono dispiaciuto. Per anni ha scelto un comportamento prudente e la strada della moderazione, ma nemmeno in questo modo è riuscito a evitare che lo etichettassero come nemico. Nel suo lavoro artistico ha evitato di bussare alle porte dei più scomodi, ha rifiutato aiuti da lui considerati “radioattivi” e ha fatto appello all’autocensura al fine di evitare di essere collocato nel fronte oppositore. Gli è servito a poco.
Per un po’ il fatto di non essersi trasformato in “un radicale” ha permesso al mio amico di godere di alcuni vantaggi. È stato invitato a un’infinità di ricevimenti in ambasciate, durante i quali veniva presentato come giovane esponente di “una tendenza riformista all’interno della sinistra”. In quelle occasioni, ce l’ha messa tutta per dimostrare che i suoi desideri di cambiamento erano interni al socialismo e che la sua opera portava una “critica costruttiva” intrinseca.
Tra mojiti e canapè, i diplomatici sorridenti lo guardavano soddisfatti del fatto che sull’isola risieda ancora gente che non urla slogan libertari, che lavora ancora nel vincolo di qualche istituzione statale ma si permette di lasciarsi sfuggire alcune osservazioni sulla burocrazia, sugli ostacoli del conformismo e sulle pratiche corrotte, senza essere definita mercenaria.
Il mio amico era tutto ciò di cui avevano bisogno: un artista che spinge “da dentro i limiti”, con stile, qualche pizzico di umorismo e sempre chiarendo che “Cuba non è come la dipingono i dissidenti”.
Il mio amico era tutto ciò di cui avevano bisogno: un artista che spinge “da dentro i limiti”, con stile, qualche pizzico di umorismo e sempre chiarendo che “Cuba non è come la dipingono i dissidenti”
Grazie a questa immagine ha avuto accesso a fondi che ha descritto come provenienti da fondazioni o enti ben lontani da Washington e dalla “destra” internazionale. Per spianare la strada verso tali aiuti economici ha escluso dai suoi lavori quelle voci che temeva potessero “contaminare” la sua opera e ha limitato il contatto con le sue conoscenze più conflittuali.
Così, procedendo con cautela, come chi cammina sopra i vetri, il mio amico è riuscito a costruirsi una reputazione di artista scomodo ma non censurato; cittadino che reclama i suoi diritti ma che rispetta il sistema vigente e cubano “autentico” che segnala le ombre ma anche “apprezza i risultati della Rivoluzione”.
Non ha mai raccontato, per non frantumare questa costruzione ideale, dei mandati di comparizione ricevuti dalla polizia negli ultimi anni, del braccio che tanti funzionari culturali gli hanno passato sulla spalla per invitarlo a evitare certe linee rosse, né delle piccole prove che aveva raccolto sulla vigilanza a cui era sottoposto.
Molte volte, affinché non ci fossero dubbi sulla sua fedeltà alla causa, ha prestato il suo nome e la sua immagine per criticare, nei media nazionali, quelli che avevano atteggiamenti più rigidi. Poi, sotto voce, spiegava agli amici che le sue considerazioni erano state manipolate dalla Sicurezza di Stato ma che in realtà simpatizzava per le pecorelle smarrite.
Non si sono mai fidati di lui, è sempre stato considerato un avversario del sistema dal primo istante in cui ha mostrato nella sua arte la realtà e ha, timidamente, incluso nella sua opera una certa pluralità.
A nulla è valso. Questa settimana, il nome del mio amico è apparso in una relazione pubblicata in un sito governativo e in cui si definiscono “recalcitranti” i leader oppositori e gli artisti moderati. Anni a plasmare un volto di ”autorizzato” sfumati in un clic.
Ora mi chiama, vuole denunciare alle organizzazioni dei diritti umani l’ingiustizia, reclama perché non si venga messi nello stesso sacco ed elenca il suo pedigree. Tutto invano. Non si sono mai fidati di lui, è sempre stato considerato un avversario del sistema dal primo istante in cui ha mostrato nella sua arte la realtà e ha, timidamente, incluso nella sua opera una certa pluralità.
Pur battendo i piedi, nella telefonata sottolinea che non vuole fare “uno show mediatico” né servirsi “su un piatto d’argento al Nord”, ma si tratta di spiegazioni che non dà a me, ma all’altro che ascolta in linea. Infine, tutta la sua arte, la sua proiezione pubblica e perfino la sua rimostranza sono state determinate da questa entità – senza volto – di cui tanto ha timore.
Yoani Sánchez
(da 14ymedio, 15 febbraio 2018)
Traduzione di Silvia Bertoli
Illustrazione. “Infine tutta la sua arte, la sua proiezione pubblica e perfino la sua rimostranza sono state determinate da questa entità – senza volto – di cui tanto ha timore”. (El Sexto)