Interessante articolo-inchiesta a più voci quello di Simona Frasca e Giovanni Vacca su Alias di sabato 23 dicembre. Prendendo spunto da una recente ricerca della Fondazione Einaudi i due giornalisti hanno parlato con negozianti e distributori italiani sulla crisi che attanaglia il settore. Il dilemma è sempre il solito: l'avvento di internet e delle nuove tecnologie sta amplificando una situazione di stallo che si protrae da molti anni.
La Fondazione Einaudi prova però a dare una lettura diversa della situazione: secondo la ricerca, il crollo del mercato non dipenderebbe dal downloading praticato ormai in massa, ma dalla incapacità di garantire una distribuzione capillare al di là dei titoli da hit parade. Lo share addirittura, aumentando il consumo di musica, fungerebbe da veicolo pubblicitario per nuovi acquisti e non scoraggerebbe l'appassionato che, dopo l'ascolto dalla rete, spesso acquista il compact originale per avere i contenuti in grafica, note di copertina ed eventuali extra che il semplice file musicale non garantisce. Ma dall'analisi della situazione emergono anche altre verità poco conosciute: mentre i negozi di dischi, piano piano o si specializzano o scompaiono, i grandi assenti sono i giovani sotto i 30 anni. Le nuove generazioni hanno una concezione estremamente consumistica della musica, favoriti dall'avvento delle nuove tecnologie preferiscono il file-sharing gratuito alla frequentazione del negozio dove oltretutto lo stesso prodotto costa un prezzo assolutamente esagerato. C'è anche da dire che oramai la musica fa da tappezzeria pressoché ovunque: dall'ascensore alla sala d'aspetto, in banca come al supermercato. E si sa che il sottofondo non richiede qualità, al contrario la rifugge; invece la qualità richiede cultura e la cultura si ottiene con... fatica. Il cerchio si chiude, proprio come la maggior parte dei piccoli negozi. Resistono coloro che si sono specializzati e le piccole etichette indipendenti che sanno dare un valore aggiunto ai loro prodotti.
Dalle interviste ai negozianti esce un altro dato di fatto: la crisi di vendite colpisce soprattutto il pop più commerciale. Difficile secondo me dare torto ai ragazzi: ammesso che mi piaccia una canzone che fa da jingle ad uno spot (mamma mia che tristezza) non vedo perché debba spendere 20 euro per un cd sicuramente inudibile quando i due minuti scarsi che mi interessano li posso scaricare dalla rete. Altra considerazione: a piangere e lamentarsi sono soprattutto le major. I piccoli discografici se sono in crisi lo debbono spesso ad altri fattori, magari più squisitamente riferibili a scelte artistiche (Veschi docet), ma in genere, la loro fetta di mercato è rimasta marginale ma costante.
Rimane, come dato di fatto, l'ottusa incapacità delle multinazionali a capire un fenomeno inarrestabile, che richiederebbe capacità manageriali di ben altro livello. Per anni e anni hanno preferito vendere meno ma a prezzi sempre più alti. Ora che il tavolo è saltato sono sgomenti e incapaci di qualsiasi iniziativa che non sia di repressione del downloading: una battaglia persa prima ancora di cominciare. Per ogni motore chiuso ne sono sorti a decine di nuovi. Ex-ministri (Maroni), cantautori (Dalla), perfino alcuni negozianti intervistati da Alias ammettono tranquillamente di servirsi della rete. E intanto ancora si discute se è il caso di abbassare l'iva...
Roberto Dell'Ava