L’artista Luigi Busi è protagonista della quattordicesima mostra retrospettiva promossa da Bologna per le Arti, associazione culturale da anni impegnata nel percorso di riscoperta e valorizzazione della pittura bolognese tra Ottocento e Novecento. Si tratta della prima grande esposizione monografica dedicata al pittore nella sua città natale, che accoglie circa sessanta opere, tra dipinti e opere grafiche, di provenienza sia pubblica che privata affiancate dalle tele dei maestri che hanno segnato la sua formazione e degli artisti contemporanei che ne hanno influenzato l’iter creativo.
La mostra, curata da Stella Ingino, è aperta a Bologna presso la Sala Ercole di Palazzo d’Accursio fino al 18 marzo 2018 (catalogo Grafiche dell’Arte).
Luigi Busi, figlio del maestro di musica Giuseppe Busi e di Maria Passarotti, discendente dai celebri pittori bolognesi Passarotti e pronipote dell’illustre paesista Rodolfo Fantuzzi, nasce il 7 maggio 1837 ed incline alle belle arti già all’età di dodici anni, fin dalle prime opere, lascia intravedere le sue doti di cui darà prova al Collegio Venturoli a partire dalla data della sua ammissione (1849).
Giovanissimo nel 1860 data del bellissimo Autoritratto, con alle spalle una formazione artistica che inizia proprio nel Collegio Venturoli in cui l’opera, insieme ad altre, è tutt’oggi conservata, Busi si ritrae all’età di ventitré anni. Il pittore rivolge lo sguardo verso l’osservatore con un’aria distinta, signorile ed affascinante, con atteggiamento fiero che riflette la consapevolezza delle sue capacità.
Il Busi, giovane lodato per “diligenza” e “di belle speranze” – come scrivono i Professori tra cui il celebre pittore Giuseppe Guizzardi ed il rettore del Collegio Venturoli, il Canonico Giulio Evangelisti – che aveva saputo coltivare bene, su quella base solida, gli insegnamenti ricevuti, al 1860 vantava premi, medaglie e opere vendute alla Società Protettrice di Belle Arti. Del periodo giovanile vanno ricordate certamente la Properzia de’Rossi del 1854 realizzata all’età di 17 anni, l’Incontro di Giacobbe e Rachele del 1855, Nicolò de Lapi dell’anno successivo e la Figlia di Jefte del 1857. In quest’ultimo anno, ormai ventenne, lascia il Collegio Venturoli e realizza il Ritratto dell’Amministratore Conte Agostino Salina. Nei primi anni della formazione, sono da considerare senz’altro di grande importanza gli insegnamenti dei Professori Gaetano Serrazanetti, Antonio Muzzi, Napoleone Angiolini e del suddetto Guizzardi. Al termine della sua istruzione al Collegio, vince il concorso Angiolini e, designato come pittore storico, beneficia di una pensione di mantenimento. Si appresta così a conoscere l’arte italiana, viaggiando verso Roma e Firenze fino ad arrivare a Milano. Quest’ultima meta fu agognata dal pittore tanto che durante il penultimo anno di pensionato, sempre nel 1860, scrive agli Amministratori del Collegio Venturoli riguardo la sua volontà di voler proseguire gli studi nell’Alta Italia. Scrivendo da Genova, poi, presenta agli Amministratori del Collegio Venturoli alcuni soggetti per il saggio finale Angiolini ma sembra abbastanza convinto, già a quella data, di voler realizzare il dipinto raffigurante Le ultime ore del Doge Foscari (1861).
Sempre negli anni ’60, Luigi Busi è impegnato nella realizzazione delle scene del Rigoletto di Giuseppe Verdi presso il teatro di San Giovanni in Persiceto in collaborazione con Tito Azzolini e Luigi Bazzani.
E ancora lontana l’importante commissione ricevuta per la decorazione della Sala Rossa di Palazzo D’Accursio in cui realizza, insieme al quadraturista Luigi Samoggia, una tempera condotta con grande sapienza tecnica. Negli anni successivi si accosta a svariati temi del mondo borghese cui mostra di volersi costantemente ispirare, prediligendo scene di vita signorile caratterizzate dalla presenza di donne abbigliate elegantemente che, nonostante alcune critiche faranno onore alla sua carriera.
Risulta chiaro, in questo periodo, che il vecchio asse Firenze-Napoli è spezzato, tra coloro che propongono un confronto con il reale, interessato esclusivamente a tematiche contemporanee, e i nuovi interpreti di una risorta accademia che ripropone il vero ridotto a mera cifra stilistica.
Al di là delle polemiche, fondamentale è l’attenzione del macchiaiolo Signorini all’Esposizione Nazionale del 1870 svoltasi a Parma, che sarà calamitato verso l’opera di Busi Una visita di condoglianze, in cui l’artista bolognese, nel dipinto unisce al sentimento intimo della scena “tante altre qualità d’arte” che lo rendono, per Signorini, uno degli artisti veramente interessanti in quella Esposizione.
Ma perché, dirà qualcuno, il Busi non persiste a dipingere quadri d’argomento storico. La risposta è facile e semplice. I quadri storici, dipinti con coscienza, costano all’artista molto tempo e molto denaro e poi nessuno li compra.
Busi quindi si adegua alle esigenze del pubblico e persegue la via più sicura, abbandonando l’anima del pittore di storia per divenire poeta degli affetti. I quadri si popolano di madri con pargoli dando vita a tenere scene familiari ambientate in ricchi interni borghesi. Una pittura delicata che commuove ed emoziona e che gli garantisce successo tra i contemporanei al punto da essere definito il “vero pittore familiare moderno” ed essere selezionato per l’Esposizione Universale di Vienna del 1873.
Nel panorama bolognese Busi continua ad essere tra le punte più avanzate dell’arte moderna, ed è chiamato nel 1873 a realizzare il grande dipinto Martirio dei Ss. Vitale e Agricola per l’altare maggiore della omonima chiesa di Bologna.
Agli anni Ottanta risalgono le decorazioni della Sala Greca e della Sala degli Etruschi del Museo Civico Archeologico e della Cappellina Hercolani Belpoggio a Bologna, oltre agli interventi in Palazzo Pighini, Palazzo Vacchi Suzzi e nel Santuario della Madonna del Piratello ad Imola.
Il sopraggiungere di una malattia mentale lo costringe per alcuni mesi al ricovero presso il manicomio di Villa Sbertoli a Pistoia, ma nel 1883 Busi è nuovamente a Roma all’Esposizione Nazionale. Tra le sue ultime opere si ricorda Riunione di famiglia e una Madonna Addolorata recante la scritta “Mater dolorosa ora pro nobis”, probabilmente una preghiera prima che l’acuirsi della malattia lo costringa a letto, dove sopraggiunge la morte nel 1884, a soli 47 anni.
Maria Paola Forlani