Ho ricevuto e letto L’Almanaccone impertinente (2017). Naturalmente la persona che maggiormente ho sentito vicina è stata Patrizia Garofalo. Le immagini e le poesie raccolte la fanno rivivere nel nostro ricordo comune come una grande scrittrice che per me vuol dire saper dire in poche parole verità molto profonde. La sua pennellata di umanità era colorata come la foto pubblicata in quarta di copertina, in denso contrasto con quella in apertura: un chiaro-scuro intelligente! In ambedue gli occhi sono protesi verso il futuro, o forse verso l’ignoto, o forse verso altro ancora. La guardo e risuonano intorno le sue parole fatte di messaggi impliciti che ti lasciava rileggere a modo tuo. Sbarazzina ed elegante. Intrigante e curiosa. Attenta e pulsante. Viveva il suo tempo con la coscienza di una storia che si ripete e dalla quale ben volentieri evitava di farsi travolgere. In una delle ultime conversazioni telefoniche, e che all’epoca non sapevo fosse “una delle ultime”, parlavamo della violenza contro le donne ed anche del terremoto. Due fatti vicini, dal punto di vista della devastazione dell’essere umano. Patrizia sentiva molto il senso della distruzione, al punto da non poter pensare a una trasformazione del male in qualcosa d’altro. Ed era così anche quando raccontava dei bambini in Siria. Quasi gemeva sulla inefficacia della politica. In effetti la sua trasformazione della sofferenza avveniva nella poesia e, dal morire provocato dalla memoria, emergeva l’abbraccio dei versi al cuore gonfio di dolore. Il messaggio è chiaro, come L’Almanaccone impertinente ben riprende nelle ultime sue strofe della poetica di Patrizia:
Ebbi a morir nel rimandarti a mente
È cecità oggi
Nebbia di sogno
Sguardo ignoto
Un inverno sospeso
Su bacche aperte forse a nuovo fiore
Che siano luce i versi che t’invio
Parola commossa
Ad abbracciarti il cuore
Patrizia Garofalo
in L’Almanaccone impertinente, Labos 2017, p. 20
Sandra Chistolini